No esclusione automatica di determinati parenti dall’indennizzo di vittime di omicidi volontari
Per la Corte Ue occorre tenere conto, oltre che della progressione del grado del vincolo familiare, anche di altri elementi: quali l’”entità del danno subito” dai familiari esclusi dal sistema in base alla categoria di familiare rivestita
La Corte Ue chiarisce la portata del sistema comunitario di indennizzo di vittime di reati violenti intenzionali verificatisi in situazioni trasfrontaliere, quando cioè l’evento si verifica ai danni di cittadini comunitari, ma sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di appartenenza. Si tratta del sistema di ristoro, delle conseguenze patite dai familiari di vittime di atti volontari violenti, messo in campo con la direttiva 2004/80/Ce (indennizzo delle vittime di reato).
Il caso a quo risolto dalla Cgue - con la sentenza sulla causa C-126/23 - è di origine italiana e pone al centro i criteri definiti dalla legge nazionale per l’individuazione dei soggetti familiari che possono accedere all’indennizzo per le “vittime di reato”. In particolare, quando l’autore del reato tenuto al risarcimento sia incapiente, supplisce l’indennizzo proveniente dallo Stato, che deve coincidere con le regole applicabili ai casi di indennizzo non transfrontaliero, ma di totale rilievo interno. Nel mirino dei giudici Ue tale criterio di non discriminazione risulta rispettato dalla legge italiana di trasposizione della direttiva, ma non si sono rivelati adeguati i meccanismi automatici di esclusione di determinate figure familiari vicine alla vittima.
Il caso a quo
La vicenda prende origine dalla condanna di un uomo, autore dell’omicidio della sua ex compagna, con la previsione che il condannato versasse un risarcimento ai familiari della vittima. Ma poiché l’autore dell’omicidio era insolvente, lo Stato italiano ha versato un indennizzo, ridotto rispetto a quello inizialmente previsto, e soltanto ai figli della vittima e al suo coniuge, dal quale la vittima era separata da anni. Da tale situazione è scaturita la domanda giudiziale dei genitori, della sorella e dei figli della vittima per l’ottenimento di un indennizzo «equo ed adeguato», che tenesse conto del danno concreto da essi subito a causa dell’omicidio.
Il rinvio pregiudiziale
Il tribunale italiano ha quindi chiesto alla Corte di giustizia se la normativa nazionale che esclude d’ufficio il versamento di un indennizzo a taluni familiari di una vittima di reati intenzionali violenti (in caso di morte di quest’ultima a seguito di omicidio) sia compatibile con la direttiva dell’Unione sull’indennizzo delle vittime di reato. Il sistema italiano di indennizzo dei reati intenzionali violenti prevede, infatti, che i genitori di una persona deceduta possano ricevere un indennizzo soltanto in assenza di coniuge e figli, e che i fratelli e le sorelle possano ottenerlo soltanto in assenza dei genitori.
L’interpretazione della Cgue
La risposta della Cgue è netta nell’affermare - in via generale - che l’esclusione automatica di taluni familiari della vittima di un omicidio non garantisce in sé la previsione di un indennizzo «equo ed adeguato». E spiega che occorre tenere conto, oltre che della progressione del grado del vincolo familiare, anche di altri elementi: quali l’”entità del danno subito” dai familiari esclusi dal sistema in base alla categoria di familiare rivestita.
Sul punto la Corte precisa anzitutto che la direttiva impone agli Stati membri di istituire un sistema di indennizzo destinato a ricomprendere non solo le persone che hanno esse stesse subito reati intenzionali violenti in qualità di vittime dirette, ma anche i loro familiari “stretti”, quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di tali reati in qualità di vittime indirette.
La direttiva impone agli Stati membri l’obbligo di istituire un sistema di ristoro delle vittime di reati intenzionali violenti che garantisca un indennizzo equo ed adeguato. E tali previsioni - pur essendo affidate al potere discrezionale degli Stati membri - impongono che questi non possono limitarsi a un indennizzo puramente simbolico o manifestamente insufficiente rispetto alla gravità, per le vittime anche indirette, delle conseguenze del reato commesso.
Il contributo deve compensare, in misura adeguata, le sofferenze alle quali le vittime sono state esposte, al fine di contribuire al ristoro del danno materiale e morale subito. Inoltre, se il sistema nazionale in questione prevede un indennizzo forfettario, la misura degli indennizzi deve essere sufficientemente dettagliata, così da evitare che l’indennizzo previsto per un tipo di violenza possa rivelarsi manifestamente insufficiente.
La Corte conclude perciò, risolvendo il caso italiano in base alle su esposte premesse, che un regime nazionale che escluda automaticamente taluni familiari dal beneficio di qualsiasi indennizzo per la presenza di altri familiari - senza tenere conto di altre situazioni di fatto - non rispetta i canoni del diritto Ue.
Non sono quindi da pretermettere, ma anzi da valorizzare, circostanze, quali le conseguenze materiali derivanti, per taluni familiari, dalla morte per omicidio della vittima: come il fatto che essi fossero a carico della persona deceduta o coabitassero con essa. La loro esclusione dovuta alla presenza di altri familiari è quindi illegittima perché non assicura un «indennizzo equo ed adeguato».