No al diritto al silenzio per ostacolo alla vigilanza
Lo chiarisce la Suprema corte con la sentenza n. 3555 del 2022
Il diritto al silenzio, riconosciuto dalla Corte costituzionale, anche nei confronti di Banca d’Italia e Consob, non si espande fino a comprendere il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 3555, di fronte ai motivi sollevati dalla difesa, indirizzati a fare valere, anche in un procedimento dove a essere contestato era il reato previsto dall’articolo 2638 del Codice civile (ostacolo all’attività di vigilanza), le conclusioni raggiunte dalla Consulta con la sentenza n. 84 del 2021.
La pronuncia di meno di un anno fa riconobbe la legittimità del rifiuto opposto dalla persona fisica alle richieste di Consob quando dalle risposte poteva emergere la propria responsabilità, sanzionabile sul piano amministrativo, in maniera assai afflittiva, oppure per un reato. La Cassazione ora, a proposito di impugnazione di una condanna inflitta tra l’altro per non avere comunicato a Consob i reali obiettivi di un’operazione di aumento di capitale societario, puntualizza il perimetro applicativo del giudizio costituzionale, sottolineando innanzitutto che «il profilo di falsità, rispetto a un obbligo di dichiarare il vero, previsto dalla legge, che connota la condotta in esame costituisce un quid pluris rispetto al dovere di collaborazione con l’autorità su cui è invece conformato l’illecito amministrativo censurato».
Inoltre è da escludere, nella materia del falso, la rilevanza del principio per il quale nessuno è tenuto a incolpare sé stesso, «non potendo la finalità probatoria dell’atto essere sacrificata dall’interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto». In questa direzione va anche la decisione della Cassazione 2018, n. 53656, con la quale non vennero individuati profili di illegittimità costituzionale nell’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, per evitare il reato di omessa presentazione della dichiarazione, anche quanto i redditi in questione sono di provenienza illecita.
E allora, anche nel caso dell’ostacolo alla vigilanza, l’offensività del bene giuridico protetto dall’articolo 2638 è da ritenere prevalente rispetto all’interesse dell’imputato all’impunità. L’intangibilità del diritto al silenzio, riconosciuto dalla Consulta, deve essere circoscritto al «generico dovere di collaborazione dell’attività di vigilanza», mentre la norma del Codice civile ha per oggetto condotte di omessa comunicazione di informazioni dovute o di ricorso a mezzi fraudolenti.
La sentenza, infine, quanto all’obiezione sull’eccessivo rigore del trattamento punitivo (penale più amministrativo), conclude che non può essere fatta valere per la prima volta in Cassazione una questione sulla proporzionalità complessiva del trattamento punitivo, quando sarebbe stato possibile proporla nel corso del giudizio di merito e non lo si è fatto.