No alla sentenza che accoglie «acriticamente» le conclusioni della Ctu
I giudici di merito non si possono limitare a recepire acriticamente le conclusioni della Ctu, ma devono valutarla per intero. Altrimenti, rischiano la bocciatura della sentenza. Infatti, il mancato esame di una Ctu che immetta nel processo un “fatto idoneo” a determinare una decisione di segno diverso integra il vizio di «omesso esame di un fatto decisivo» e porta alla cassazione della sentenza impugnata. Lo ha chiarito la stessa Corte di cassazione con l’ordinanza 9110 depositata il 2 aprile 2019.
La questione
La Cassazione ha accolto il ricorso di una madre contro la sentenza della Corte d’appello che, confermando la pronuncia del Tribunale per i minorenni, aveva inizialmente dichiarato lo stato di adottabilità di uno dei suoi figli. I giudici di merito hanno deciso per lo stato di adottabilità recependo le conclusioni della Ctu, per cui «non appare possibile immaginare un permanere del minore presso il nucleo familiare d’origine». Questo benché la stessa Ctu avesse rilevato come la donna si fosse occupata del bambino dalla nascita dimostrando «non solo disponibilità, empatia e attaccamento affettivo al bambino (...) ma anche capacità di accudimento». Inoltre, la Ctu descrive il bambino come «allegro e vivace», non rileva «fenomeni di trascuratezza, malnutrizione, ritardo o scarsa crescita» e afferma che mantiene con la madre una «relazione positiva».
Ctu contraddittoria
È alla luce di queste osservazioni che la Cassazione bolla come «contraddittorie e incoerenti» le conclusioni della Ctu, «acriticamente recepite» dalla sentenza della Corte d’appello. La Ctu infatti, prosegue l’ordinanza, non afferma «l’irreversibilità della situazione di fragilità psicologica della ricorrente», ma si limita a evidenziare «gli aspetti problematici della personalità della ricorrente senza tuttavia valorizzarne i progressi compiuti». Inoltre, la Corte d’appello minimizza «le conseguenze della separazione dai due fratelli maggiori del piccolo» dichiarato in stato di abbandono.
La Suprema corte
La sentenza della Corte d’appello, osserva il Collegio, «nelle prime 15 pagine trascrive la sentenza di primo grado del Tribunale e nelle pagine da 16 a 20 trascrive la relazione del Ctu» e «motiva nelle ultime tre pagine la decisione di confermare la sentenza di primo grado e dichiarare lo stato di abbandono del minore, sulla base degli atti trascritti affermando l’interesse del minore a essere adottato in quanto il minore è rimasto con la madre solo un anno e non ha costruito con lei relazioni significative a livello affettivo ed emotivo; ma ciò appare in assoluto contrasto con quanto affermato dal Ctu in ordine al legame esistente tra la madre e il figlio, sempre da lei accudito quantomeno nel primo anno di vita e tenuto presso di sé al pari dei fratelli».
Per la Cassazione, la Corte di merito, con la conferma dello stato di adottabilità del minore, ha sostanzialmente violato i principi delle leggi 184/83 e 149/2001, che assicurano al minore il diritto di crescere nell’ambito della propria famiglia di origine e riconoscono a questo diritto un carattere prioritario, considerando l’ambiente familiare di origine come quello più idoneo, in astratto, al suo armonico sviluppo psicofisico. Tanto che l’ordinamento ha il compito di garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare.
Per queste ragioni, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, che ha rinviato alla Corte d’appello.
Corte di cassazione, ordinanza 9110 del 2 aprile 2019