Comunitario e Internazionale

No a stabilizzazione dei precari insegnanti di religione cattolica se il loro ruolo non soddisfa fabbisogni duraturi

Sarà il giudice italiano a stabilire se l'esclusione della conversione in rapporto indeterminato sia discriminazione vietata

di Paola Rossi

La Corte Ue affida al giudice del rinvio italiano di verificare se sia discriminatoria - rispetto agli altri precari della scuola - il ricorso alla successione dei contratti a tempo determinato degli insegnanti di religione senza che ne derivi il diritto all'immissione in ruolo. Spartiacque per valutarne la legittimità è l'esigenza duratura o meno del datore di lavoro pubblico di assicurarsi un numero prestabilito di insegnanti di religione cattolica. Così la Cgue, con la sentenza sulla causa C-282/19, interpreta le clausole 4 e 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. E nel fornire tale interpretazione la Cgue chiarisce anche che non vi è in una tale situazione una discriminazione fondata sulla religione. Neanche in base alla necessità che l'insegnante sia dotato di un titolo rilasciato dalla Chiesa cattolica.

Dunque, secondo la Cgue, il contratto annuale con cui le scuole assicurano l'insegnamento della religione cattolica può essere legittimo se la mancata previsione di un meccanismo di stabilizzazione è giustificata dall'esigenze non stabili e prevedibili rispetto alla richiesta di fruizione di tale materia divenuta ormai opzionale.

Non vi è discriminazione fondata sulla religione né sulla durata determinata del rapporto di lavoro in materia di ricorso abusivo alla successione di contratti a tempo determinato.
La Corte ha in primis constatato che la circostanza per cui i ricorrenti non possono beneficiare di una conversione del loro contratto in contratto a tempo indeterminato, mentre i docenti di altre materie che si trovano in una situazione comparabile potevano farlo, costituisce una differenza di trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo determinato. Non si è quindi nell'ambito di applicazione della clausola 4 dell'accordo quadro , che vieta la differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. E perciò il giudice del rinvio non può disapplicare le norme nazionali sulla base di detta clausola. Invece, per quanto riguarda la clausola 5 dell'accordo quadro, sulle misure di prevenzione contro l'abusiva successione di contratti a termine, la Corte dichiara che tale disposizione osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica dall'applicazione delle norme dirette a sanzionare gli abusi, qualora non esista nessun'altra misura effettiva nell'ordinamento giuridico interno che li sanzioni. E sarà il giudice italiano a verificare tale circostanza.
Conclude la Corte anticipando che " non è certamente escluso che il settore dell'insegnamento pubblico della religione cattolica richieda un costante adeguamento tra il numero di lavoratori impiegati e il numero di potenziali utenti, il che comporta, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione, ove l'esigenza particolare di flessibilità, in tale settore, è idonea a giustificare, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell'accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato". Nel caso specifico la Cgue afferma che i diversi contratti a tempo determinato che legano i ricorrenti al loro datore di lavoro hanno dato luogo allo svolgimento di mansioni simili per vari anni, cosicché si può ritenere che tali rapporti di lavoro abbiano soddisfatto un fabbisogno duraturo, circostanza che spetta però sempre al giudice del rinvio verificare.

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