Non c’è messa alla prova senza ristoro adeguato per la persona offesa
La messa alla prova per gli imputati maggiorenni guadagna spazi applicativi sempre più rilevanti, ma la Cassazione interviene a garantire che ciò non pregiudichi le ragioni delle persone offese dal reato. Con la sentenza 34878 del 30 luglio scorso, la Suprema corte ha infatti stabilito che il giudice non può ammetterla se l’offerta risarcitoria dell’imputato non appare proporzionata rispetto al pregiudizio patrimoniale subito dalla persona offesa.
La legge 67 del 2014 ha introdotto la facoltà per l’imputato di chiedere la sospensione del giudizio con messa alla prova per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni o per i reati per i quali si procede a citazione diretta in base all’articolo 550 del Codice di procedura penale (violenza o minaccia a pubblico ufficiale, resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a magistrato in udienza, violazione di sigilli aggravata, rissa aggravata, furto aggravato e ricettazione).
La messa alla prova
In base all’articolo 168-bis del Codice penale, la messa alla prova comporta lo svolgimento di condotte volte a eliminare le conseguenze del reato e, ove possibile, il risarcimento del danno, oltre che l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può implicare attività di volontariato o l’osservanza di prescrizioni. L’esito positivo della prova estingue il reato.
Per questo la sentenza del 30 luglio ricorda che la messa alla prova non è un diritto dell’imputato e non può avere la conseguenza di marginalizzare le pretese dei danneggiati. In base all’articolo 464-bis del Codice di procedura penale, l’imputato può chiederla fino a che non siano formulate le conclusioni in udienza preliminare o fino all’apertura del dibattimento di processi per direttissima o a citazione diretta.
Si può fare richiesta anche durante le indagini preliminari; in questo caso, il giudice trasmette gli atti al pubblico ministero, il quale, se presta il consenso, deve formulare l’imputazione (articolo 464-ter del Codice di procedura penale). Secondo la Cassazione (sentenza 29093 del 22 giugno 2018), questo atto costituisce esercizio dell’azione penale; quindi se l’ordinanza di sospensione con messa alla prova viene revocata, il procedimento non riparte dalle indagini preliminari ma dall’udienza preliminare o dal dibattimento.
La procedura
L’imputato avanza la richiesta personalmente o a mezzo di procuratore speciale e deve allegare un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna. Se non è stato possibile elaborarlo entro i termini fissati, allega la richiesta di programma.
Per decidere se ammettere l’imputato alla messa alla prova, il giudice può acquisire informazioni sulle sue condizioni personali, economiche e sociali. Dispone la sospensione se reputa idoneo il programma di trattamento e se ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati.
Non può invece negarla solo per la mancata elaborazione del programma, purché sia stato richiesto al competente ufficio (Cassazione 12721 del 22 marzo 2019).
La persona offesa deve essere sentita al pari del pubblico ministero e dell’imputato e delle sue esigenze di tutela il giudice deve tenere conto. Al pari delle altre parti può impugnare l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova. La Corte costituzionale (sentenza 131 del 29 maggio 2019) ha affermato che l’articolo 464-bis del Codice di procedura penale va interpretato ritenendo che al giudice sia consentito di riqualificare il reato contestato dal pubblico ministero, che non rientri tra quelli per i quali l’imputato può richiedere la messa alla prova, per ricondurlo a fattispecie compatibile con il beneficio. Ciò però deve avvenire entro i termini previsti dalla norma e ovviamente deve esserci una richiesta dell’imputato.
Già la Cassazione aveva chiarito che il giudice deve verificare la correttezza della qualificazione giuridica, quando gli viene chiesta la sospensione, aggiungendo però che, se la riqualificazione che avrebbe consentito la sospensione, preclusa dall’originaria imputazione, avviene nel giudizio di appello l’imputato non può essere rimesso in termini (sentenza 36752 del 31 luglio 2018).
Incerta è invece la Cassazione circa la possibilità di dedurre in appello l’illegittimità del rifiuto, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova, quando poi l’imputato ha avuto accesso al rito abbreviato. Infatti, una sentenza dell’8 ottobre 2018 la ammette, un’altra del 27 settembre 2018 la nega sostenendo che si tratta di due giudizi alternativi non convertibili l’uno nell’altro.
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