Penale

Non c’è reato se l’autista «privato» lascia la paletta esposta mentre accompagna l’assessore

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di Selene Pascasi

Non può essere condannato, per possesso di segni distintivi contraffatti, chi si limiti ad esporre sul parabrezza, senza farne uso, una paletta con simbolo della Repubblica Italiana e dicitura Polizia Municipale. Lo marca il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 5276 dell'8 novembre 2016. Accusato del reato, è un uomo che lasciava esposta la paletta in dotazione della polizia locale, sul parabrezza dell'auto, parcheggiata, in occasione della fiera del libro, nell'area riservata alle forze dell'ordine.

Nel giudizio aperto a suo carico per possesso di segni distintivi contraffatti, era emerso che l'uomo, dopo il pensionamento come autista comunale, aveva continuato a svolgere le stesse mansioni, quando vi era bisogno, tramite una società di servizi. Ebbene, in occasione dell'evento, l'imputato, dopo avervi accompagnato assessore alla cultura e responsabile amministrativa, intervenuti alla manifestazione al posto del sindaco, aveva raggiunto l'area destinata ai veicoli di servizio rimanendo accanto a quella che, di fatto, fungeva da auto di rappresentanza del Comune. In vista, la tanto contestata paletta. Per questo, alcuni agenti – informatisi sulla sua qualifica e accortisi della presenza della paletta, inserita nell'aletta parasole dell'auto – lo avevano denunciato.

Ma il Tribunale, viste le circostanze del fatto, le dichiarazioni acquisite e il carteggio comprovante la natura istituzionale del viaggio compiuto per conto del Comune, esclude la sussistenza del reato e assolve l’ex autista comunale. Nonostante egli non risultasse appartenere al corpo dei vigili urbani e, quindi, sul mezzo condotto non potesse esporre la paletta – spiega il giudice – andava accolta la sua giustificazione: un servizio di trasporto identico, con l'auto di rappresentanza del Comune, veniva svolto, come aveva confermato il vicesegretario comunale, anche dai vigili urbani. E la paletta, era stata lasciata come d'abitudine sul parabrezza del veicolo, a disposizione degli agenti in caso di necessità.

Del resto, essendo consapevole di non essere un pubblico ufficiale autorizzato a farne uso, l’autista non si era mai azzardato ad adoperarla. Non pensava, quindi, di aver commesso un abuso.

Il Tribunale concorda. La condanna per possesso di segni distintivi contraffatti, sottolinea, scatta soltanto in caso di detenzione illecitamente effettuata, ossia se l'agente si sia reso conto di agire in maniera illecita. Nella vicenda di specie, invece, era trapelata la totale buona fede dell'uomo, inconsapevole di violare la legge lasciando solamente esposta la paletta, senza utilizzarla. Inevitabile, pertanto, la decisione del Tribunale di assolverlo con la formula «perché il fatto non costituisce reato».

Sul punto, abbastanza di recente, si era pronunciata altresì la Corte di cassazione (sentenza 6784/2015) intervenendo, però, a sottolineare un aspetto diverso: la doverosa esclusione di un concorso apparente di norme tra la fattispecie in questione – prevista dall'articolo 497-ter, comma primo, n. 1, del Codice penale, che punisce per possesso di segni distintivi contraffatti la detenzione di oggetti che simulano la funzione dei corpi di polizia – e l’uso della sirena (disciplinato dall’articolo 177 del Codice della strada che, in particolare, sanziona l'abuso nell'utilizzo dei dispositivi acustici e luminosi di emergenza nella circolazione stradale).

Tribunale di Torino, sentenza 8 novembre 2016, n. 5276

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