Non è diffamazione se durante l’udienza si definisce “pezzente” la controparte
La parola pronunciata di getto, come reazione di stizza, al di fuori di un diverbio e percepita dagli avvocati della parte offesa non attinge, per la Cassazione, il bene della reputazione tutelato dalla norma penale
La diffamazione non scatta se una delle parti contrapposte in una lite giudiziaria dà del “pezzente” all’altra e l’espressione è pronunciata al di fuori di uno scambio dialogico acceso sebbene percepito da terzi. In sé il proferire tale singola espressione udita solo dai vicini avvocati di controparte non contiene quella carica di offensività tale da compromettere il bene tutelato dalla norma penale, che prevede e punisce il reato di diffamazione: la reputazione della persona nell’ambiente sociale in cui è inserita. La parte offesa veniva poi messa a parte della parola offensiva pronunciata nei suoi confronti dai suoi stessi difensori in udienza, da cui era poi derivata la querela.
La Corte di cassazione dopo due decisioni di merito di condanna - con la sentenza n. 25026/2024 - ha accolto senza rinvio il ricorso dell’imputato, perché il fatto non costituisce reato.
Infatti, secondo la ricostruzione difensiva, ora confermata dalla Suprema corte, l’impeto di rivolgere una critica alla controparte nell’ambito di una lite processuale può ben rappresentare l’espressione legittima a fronte di alcuni passaggi o affermazioni verificatisi in udienza. La circostanza che l’espressione offensiva sia stata percepita da alcuni soggetti presenti in udienza non può condurre ad affermare che la reputazione personale dell’offeso fosse stata compromessa nell’ambiente sociale in cui svolge la propria vita ed è conosciuto. Resta comunque l’inoffensività della parola pezzente e l’assenza del dolo di compromettere la reputazione altrui per come è stata pronunciata e in quali circostanze: una sorta di reazione di stizza all’interno di una contrapposizione processuale non in un brusco confronto tra le parti agito con chiari intenti denigratori dell’immagine di sé goduta dalla parte offesa nel proprio ambiente socio-culturale.