Amministrativo

Nuova bozza del Decreto Aree Idonee, dubbi e perplessità degli operatori

Preoccupa la frammentazione della disciplina su base regionale, con riflessi sul sistema autorizzativo - Timori anche sull’abolizione del regime di salvaguardia per i procedimenti autorizzativi già avviati

Sta circolando in questi giorni la nuova bozza dell’attesissimo Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, da adottarsi di concerto con il Ministero della Cultura e con il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti da fonti rinnovabili (oltre solo “Decreto Aree Idonee”).

Come noto, il Decreto Aree Idonee, in attuazione dell’art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 199/2021 recante “ Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili ”, oltre a definire gli obiettivi di potenza nominale aggiuntiva previsti per ciascuna Regione e Provincia autonoma, ha lo scopo di stabilire i principi e criteri omogenei per l’individuazione da parte delle Regioni delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili.

Dall’analisi della nuova bozza di Decreto Aree Idonee emergono, tuttavia, alcuni dubbi e perplessità , e ciò specialmente con riguardo ai seguenti profili:

  • principi e criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili;
  • rilevanza della disciplina culturale e paesaggistica;
  • regime transitorio per gli iter procedimentali autorizzativi in corso.

Quanto al primo profilo, nel nuovo testo viene previsto (art. 7) che per l’individuazione delle aree idonee le Regioni dovranno tenere conto, fra altro, delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, e dovranno altresì privilegiare l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica.

Viene, altresì, richiesto alle Regioni di tenere conto della possibilità di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto. Viene, da ultimo, prevista la “possibilità” di fare salve le aree già definite come idonee ai sensi dell’art. 20, comma 8, del D.Lgs. n. 199/2021.

A fronte dell’analisi di tale norma a preoccupare maggiormente è senza dubbio l’attribuzione di un così ampio margine di discrezionalità alle singole Regioni in punto di individuazione delle aree idonee (su cui, come noto, si applicano notevoli semplificazioni procedimentali) per l’installazione di impianti FER.

Infatti, dalla lettura dell’art. 7 della nuova bozza, sembra che sia attribuita alle Regioni non solo la potestà di individuare quali aree considerare idonee e quali non idonee, bensì anche quella di definire i criteri più specifici per operare tale classificazione. Ciò determinerà, con altissima probabilità, la creazione di una disciplina disomogenea e frammentaria all’interno del territorio nazionale, con potenziale ampia diversificazione dei regimi autorizzativi applicabili da Regione a Regione. Nel concreto ciò significa che, ad esempio, il medesimo progetto di un impianto FER potrebbe essere realizzabile in una determinata area nella Regione X e potrebbe invece non esserlo nella Regione Y, e ciò nonostante le due aree prese a riferimento siano identiche sotto il profilo urbanistico, paesaggistico, vincolistico e così via.

Sotto un secondo profilo, a destare ulteriori perplessità è il successivo comma 3 dello stesso art. 7, secondo cui, da un lato: “Possono essere considerate non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” e, d’altro lato: “Le Regioni possono stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7 chilometri ”.

A tal proposito, si ritiene che il generico richiamo ai “beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, senza ulteriore specificazione della tipologia di beni tutelati cui ci si intende riferire, possa causare notevoli problematiche.

Infatti, i beni sottoposti a tutela ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 sono innumerevoli e comprendono sia i beni c.d. culturali (definiti come le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico), sia i beni c.d. paesaggistici, tra cui rientrano, a titolo meramente esemplificativo, le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza o, ancora, le bellezze panoramiche in genere, i territori costieri entro 300 metri dalla battigia, i territori contermini ai laghi compresi entro 300 metri dalla battigia, i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua, le montagne oltre i 1600 metri, i parchi e le riserve nazionali o regionali, i territori coperti da foreste o boschi anche se percorsi o danneggiati dal fuoco, le zone gravate da usi civici, le zone di interesse archeologico, etc.

È evidente, dunque, che l’inciso, così come formulato, possa portare al possibile risultato che la maggior parte delle aree e superfici del territorio nazionale (noto per la ricchezza del suo patrimonio storico-artistico-paesaggistico) vengano qualificate dalle singole Regioni come del tutto non idonee all’installazione dei suddetti impianti, impedendo radicalmente la realizzazione di impianti FER, senza margini per dimostrare l’assenza di impatto rilevante del progetto sul bene oggetto di tutela. Ciò, evidentemente, potrebbe pregiudicare gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’UE.

Del pari, la possibilità - alias potere - attribuita alle Regioni di considerare non idonee le aree insistenti in una fascia di rispetto fino a un massimo di 7 chilometri ” conferma le perplessità e i rischi sopra annunciati e, cioè, che così disponendo si verrà a creare una disciplina diversificata caso per caso, più o meno restrittiva e, soprattutto, basata su una scelta discrezionale in capo alla singola Regione in sostanziale assenza di criteri uniformi applicabili sull’intero territorio nazionale.

Quanto al terzo e ultimo profilo relativo alla disciplina transitoria, si rileva che la nuova bozza del Decreto Aree Idonee ha eliminato l’art. 10 della prima versione del Decreto stesso che prevedeva un regime di salvaguardia per i procedimenti autorizzativi già avviati, che si sarebbero dovuti concludere ai sensi della disciplina previgente.

La rimozione di tale articolo fa sorgere il serio e concreto rischio che gli iter procedimentali già in corso (avviati secondo una disciplina pro tempore valida ed efficace) non possano essere utilmente conclusi secondo quello stesso quadro regolamentare, dovendosi portare a compimento secondo i più restrittivi dettami del nuovo testo del Decreto Aree Idonee e – probabilmente anche – delle successive leggi regionali che saranno adottate in sua applicazione. Tale circostanza creerà quindi verosimilmente instabilità e incertezza per gli operatori economici con riguardo a procedimenti già avviati, il cui esito potrebbe rivelarsi dubbio e quandanche sfavorevole, con buona pace per gli investimenti già effettuati.

Per concludere, la nuova bozza del Decreto Aree Idonee sembra proprio non condurre alla necessaria chiarezza della disciplina della individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili, facendo presagire una frammentazione della disciplina su base regionale, con riflessi anche sul sistema autorizzativo, ponendo così seri interrogativi e preoccupazioni anche in capo agli operatori economici operanti nel settore delle energie rinnovabili. 

Il rischio maggiore è che crei maggiore incertezza rispetto al quadro attuale e, allo stesso tempo, che determini un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi fissati a livello europeo, in primis quelli della Direttiva RED II, cui il Decreto Aree Idonee deve invece – non solo in teoria – dare concreta ed effettiva applicazione.

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*A cura di Anna Maria Desiderà, Associate Partner, Avvocato, Rödl & Partner e Camilla Franceschi, Associate, Avvocato, Rödl & Partner

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