Nuovi strumenti elettronici per la comunicazione ai dipendenti, sotto la lente i requisiti della disponibilità e consegna
In assenza di una organica disciplina legislativa si è registrata, in ambito giuslavoristico, una certa apertura della giurisprudenza a tali forme di comunicazione e su tale orientamento sembra da ultimo muoversi anche il Legislatore
La proliferazione di nuovi canali e strumenti elettronici di comunicazione per la consegna della documentazione aziendale ai dipendenti genera spesso nell'ordinaria e – soprattutto - straordinaria gestione aziendale dubbi e criticità sulla loro validità, efficacia e adeguatezza.
In assenza di una organica disciplina legislativa a riguardo, si è registrata in ambito giuslavoristico una certa - discutibile - apertura della giurisprudenza a tali forme di comunicazione e su tale orientamento sembra da ultimo muoversi anche il Legislatore.
Ci si riferisce, in particolare, al c.d. Decreto Trasparenza che, con l'ausilio interpretativo del Dicastero del Lavoro, ha legittimato l'invio dei contratti di lavoro in formato elettronico, dichiarandoli validi ai fini dell'adempimento agli obblighi informativi del datore di lavoro.
Per comunicazione in formato "elettronico" il Ministero del lavoro ha chiarito che si può intendere l'email personale comunicata dal lavoratore, l'e-mail aziendale messa a disposizione dal datore di lavoratore, l'utilizzo della rete intranet aziendale dei relativi documenti, ecc.
Allo stesso modo, recenti sentenze dei Tribunali del Lavoro hanno ritenuto legittime le conversazioni intrattenute tra Datore di Lavoro e dipendenti per il tramite di WhatsApp, sia come legittimo strumento di cessazione del rapporto di lavoro che per scopi difensivi in ambito processuale.
Non vi è dubbio che per celerità, immediatezza e tempestività i canali elettronici siano ormai insostituibili nelle dinamiche ordinarie comunicative interne ed esterne all'azienda, benché sia opportuno distinguerne l'opportunità di utilizzo rispetto alla finalità che si vuole raggiungere.
Qui pare leggersi l'imbarazzo del Datore di Lavoro, ovviamente chiamato a dirimere non solo la scelta di utilizzo dell'uno o dell'altro strumento, ma anche la legittimità di utilizzo degli stessi in ragione delle caratteristiche di non ripetitività, certezza di ricezione e determinazione del momento della stessa.
I canali e strumenti di comunicazione non sono pochi e neppure di eguale gestione: a mero titolo esemplificativo
• la posta elettronica aziendale è certamente il canale più utilizzato non solo dal datore di lavoro nella quotidiana gestione del rapporto di lavoro, ma anche dai dipendenti nello svolgimento dell'attività lavorativa. Quest'ultima funzione fa sì che la posta elettronica aziendale sia considerata uno strumento legittimo a condizione che vi sia la corretta informazione sulle sue modalità di utilizzo e sulle finalità dello strumento.
• così non può considerarsi la posta elettronica personale che è un canale normalmente e (correttamente) utilizzato nella fase precontrattuale (ad esempio per prendere contatti con il candidato; per inviare la proposta di lavoro) o post contrattuale;
Inoltre, benché si tratti di un canale di più recente creazione, ha preso letteralmente il sopravvento nella gestione del personale l'applicativo Whatsapp, attraverso cui transitano numerosissime informazioni "bidirezionali" tra datore di lavoro e lavoratore, sia relative alla gestione del rapporto di lavoro (es. comunicazione di ferie, permessi, assenze per malattia, ecc.) che riguardanti l'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa (es. rilascio di direttive, ecc.).
Si ricorda da ultimo l'ordinanza della Corte di Cassazione n. 25286 del 24 agosto 2022 , che conferendo piena validità ed efficacia al messaggio whatsapp di un dipendente che comunicava il proprio stato di malattia, annullava il licenziamento a quest'ultimo intimato per assenza ingiustificata.
Consacrato non solo dalla giurisprudenza ma ormai anche dal legislatore è il canale della intranet aziendale, particolarmente utilizzato per la condivisione dei documenti.
Come anticipato, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, nella circolare n. 4 del 10 agosto 2022 emanata con la finalità di dare le prime indicazioni interpretative sul c.d. decreto trasparenza (D.Lgs. 104/2022) ne ha confermato la validità ed efficacia come strumento di consegna della informativa e del contratto di lavoro, con la sola cautela di consegnare la "password personale al lavoratore".
Se le misure sopra brevemente esposte, per celerità e praticità oltre che per non ufficialità, si ritengono adeguate alla gestione ordinaria dei rapporti di lavoro, devono a nostro avviso - e nonostante le aperture della giurisprudenza prima e del legislatore più di recente - essere oltremodo evitate in occasione dell'invio di comunicazioni formali, in cui è quantomeno necessario avere prova certa della data di invio di una comunicazione e soprattutto di ricezione.
Non è superfluo rammentare che ai sensi dell'art. 1335 c.c.:
"La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia".
Applicando tale principio all'ambito più strettamente giuslavoristico, preme ribadire l'importanza dell'individuazione del momento in cui le comunicazioni "si reputano conosciute" soprattutto per le importanti decadenze dall'esercizio di rilevanti diritti.
Il riferimento va in primis al termine per impugnare un licenziamento, come noto, pari a sessanta giorni decorrenti dalla data di ricevimento della comunicazione. Ancora di maggior rilievo, quantomeno per la brevità del termine, sono i 5 giorni, previsti per replicare ad una contestazione disciplinare o agli eventuali termini previsti dalla contrattazione collettiva per irrogare una sanzione.
La tematica merita, quindi, un'ultima osservazione e non per importanza: le contestazioni disciplinari e ancor più i licenziamenti, sono dei provvedimenti le cui conseguenze riverberano nelle vite professionali, personali, familiari e sociali dei dipendenti e impattano non solo sulla condizione economica dei lavoratori ma anche sulla loro immagine.
Lasciano a riguardo perplesse talune – ormai celebri – pronunce giurisprudenziali che conferiscono piena validità ed efficacia a licenziamenti intimati tramite script ( Tribunale di Catania del 27 giugno 2017), sms (Corte d'Appello di Firenze n. 629 del 5 luglio 2016) o email ( Cassazione del 12 dicembre 2017 n. 29753 ).
A tal riguardo non può non essere considerato che WhatsApp - come altre chat - anche se non aziendali, sono potenzialmente un ottimo canale di comunicazione perché contengono i requisiti indispensabili per garantire le caratteristiche essenziali della consegna (unicità dell'interlocutore, prova di ricezione e recepimento), oltre che essere di immediata disponibilità dell'utilizzatore/ricettore.
Non v'è chi non veda, al di là di quelle che possono essere le passate, presenti e future (discutibili) "aperture" giurisprudenziali, come i canali elettronici non siano affatto adeguati a tale scopo e pare palese che non lo potranno essere, se non per opera di una organica legittimazione d'utilizzo da parte del Legislatore.
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*A cura di Marcella de Trizio e Massimiliano Arlati di ArlatiGhislandi e AG Studi e Ricerche