Penale

Omicidio aggravato e stalking, escluso il concorso tra i due reati

Le sezioni Unite dirimono un contrasto sorrto sulla possibilità di far scattare il concorso tra le due fattispecie

di Patrizia Maciocchi

L’omicidio commesso dal persecutore, punito con l’aggravante speciale che prevede la pena dell’ergastolo, è un reato complesso a causa dell’unitarietà del fatto. Il reato di stalking è dunque assorbito da quello di omicidio e non può essere punito separatamente. Le Sezioni unite della Cassazione (sentenza 38402) dirimono un contrasto sorto sulla possibilità di far scattare il concorso tra lo stalking, previsto dall’articolo 612-bis del Codice penale e l’omicidio aggravato dagli atti persecutori che, nella forma di delitto aggravato (articolo 575 e 576, primo comma, n.5.1 del Codice penale) comporta una pena fino all’ergastolo.

A chiedere lumi alle Sezioni unite era stata la quinta sezione, in relazione a una causa che riguardava l’uccisione di una donna, per mano di una sua collega: un omicidio contestuale allo stalking.

Le Sezioni unite sono state chiamate a scegliere tra due tesi opposte, in merito all’esistenza o meno del delitto complesso, con il Pubblico ministero - la cui posizione è stata disattesa - schierato per il concorso tra i due reati.

La conclusione raggiunta si fonda soprattutto sulla lettura dell’articolo 84 del Codice penale che disegna il reato complesso. Una norma secondo la quale «non basta che più fatti costituenti reato abbiano qualche elemento in comune, ma occorre che uno di essi converga interamente in un’altra figura criminosa tanto da perdere la sua autonomia e diventare, quindi, elemento costitutivo o circostanza aggravante dell’altro». Per i giudici pesa «la comune matrice ideologica quanto ai motivi a delinquere in un rapporto finalistico fra i fatti o nella convergenza degli stessi verso un unico risultato finale». Azioni tese quindi ad un unico scopo.

Un’interpretazione che porta le Sezioni unite ad escludere che si possa parlare di reato complesso, quando l’omicidio viene commesso a distanza di molto tempo dalle condotte persecutorie. In tal caso manca, infatti, il requisito minimo dell’unitarietà del fatto e dunque gli atti persecutori non possono essere assorbiti dal reato di omicidio.

Il Supremo collegio ricorda che la responsabilità per il delitto aggravato dalla persecuzione, comporta comunque la pena dell’ergastolo. E la circostanza che il fine pena mai possa essere sostituito da una pena temporanea, per effetto di un bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, non può portare a mettere in discussione la configurazione giuridica affermata.

La conclusione raggiunta - precisa la Corte - è in linea anche con la ratio del legislatore che ha introdotto l’aggravante esaminata (Dl 11/09), per dare una risposta ad un fenomeno criminale sempre più frequente. Ma visto come un fatto complessivo, meritevole di aggravamento.

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