Omicidio stradale, non è automatica la revoca della patente al colpevole
Più spazio alla valutazione del giudice nell’omicidio stradale. La revoca della patente infatti non deve essere l’automatica conseguenza del reato, ma deve scattare solo se la condotta è stata aggravata dall’assunzione di alcol o stupefacenti; in tutti gli altri casi l’autorità giudiziaria dovrà valutare la gravità della condotta, decidendo, eventualmente, di applicare la più lieve sanzione della sospensione. Lo ha stabilito la Corte costituzionale in una sentenza i cui contenuti sono stati anticipati ieri da un comunicato.
A questo giudizio di parziale illegittimità dell’articolo 222 del Codice della strada, la Consulta ha però accompagnato una valutazione positiva del divieto per il giudice di bilanciare con l’attenuante le aggravanti della guida in stato di ebbrezza o sotto l’influsso di droghe.
Le questioni erano state sollevate da una pluralità di uffici giudiziari che avevano messo in evidenza una serie di punti critici della normativa introdotta 3 anni fa. Il tribunale di Torino aveva ricordato che l’articolo 222 prevede che, nei casi di condanna o di applicazione della pena dopo patteggiamento, per i reati di omicidio stradale e di lesioni stradali gravi, anche dopo la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, deve essere sempre applicata la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, con il divieto conseguente di ottenerne una nuova prima che siano passati 5 anni.
L’ufficio piemontese aveva denunciato l’irragionevolezza della previsione quando, senza possibilità di graduazione, sottopone alla medesima sanzione accessoria situazioni, quali le lesioni stradali gravi o gravissime e l'omicidio stradale, la cui diversità è invece attestata dalla notevole differenziazione delle sanzioni penali, graduate in funzione di un diverso disvalore sociale.
Se questo aspetto della pronuncia va nella direzione di un recupero di margini di valutazione da parte della magistratura, in direzione diversa va la decisione sull’altro punto affrontato che ha invece promosso la riforma. Il Gup di Roma aveva sollevato la questione di legittimità con riferimento in particolare alla circostanza attenuante prevista, per il reato di omicidio stradale, dal comma settimo dell’articolo 589-bis del Codice penale, per il quale «qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole la pena è diminuita fino alla metà».
Attenuante che però il successivo articolo 590 quater del Codice penale vieta di considerare prevalente o equivalente rispetto alle aggravanti (come la guida dopo avare assunto droghe o alcol) nei reati di omicidio stradale e lesioni stradali. Un divieto, sosteneva il Gup, che impedisce al giudice la possibilità di valutare nel caso concreto la prevalenza della diminuente rispetto alle aggravanti, con conseguente aumento sproporzionato di pena anche nel caso di percentuale minima di colpa dell’imputato. Il trattamento sanzionatorio così delineato dalla riforma del 2016 contrasterebbe inoltre con il principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena.