Lavoro

Ospedali Classificati e Irccs: al Direttore di Struttura non spetta la retribuzione per lo straordinario

Ad affermarlo è la Cassazione con la recente ordinanza n. 9126 dello scorso 5 aprile

Ai dirigenti medici degli IRCCS e degli Ospedali Classificati non spetta la maggiorazione per il lavoro straordinario . Analogamente alla dirigenza pubblica, non risulta infatti possibile operare una distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento di risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la prestazione del dirigente medico, come noto, è complessivamente finalizzata a conseguire gli obiettivi propri e immancabili della funzione e, soprattutto, dell’incarico ricevuto.

Questa è l’interpretazione resa dalla Corte di cassazione con la recente ordinanza n. 9126 dello scorso 5 aprile . La vicenda dalla quale promana il suddetto principio trae origine dalla controversia promossa da un dirigente medico responsabile di struttura complessa, con rapporto di lavoro privatistico in regime di CCNL Aris-Anmirs (“personale dirigente medico dipendente dagli Ospedali Classificati ancorché riconosciuti IRCCS - 1998-2001”), per il riconoscimento della retribuzione da lavoro straordinario.

In particolare, il CCNL Aris-Anmirs (versione 1998-2001), all’art. 8 prevedeva che “i dirigenti medici assicurano l’orario di servizio disposto dalla Direzione sanitaria”, pari a “38 ore per i dirigenti medici a tempo pieno”, mentre l’art. 39 disponeva che “ l’orario eccedente le 38 ore settimanali, per i medici a tempo pieno, e le 28,30 ore, per i medici a tempo definito, dà luogo a retribuzione straordinaria ” unicamente nei casi di “ servizio di pronta disponibilità ” e/o di “ autorizzazione del dirigente della struttura e della Direzione Sanitaria ” allo svolgimento di straordinari. L’art. 41 del medesimo CCNL disponeva, inoltre, che la retribuzione di risultato erogata al dirigente compensa l’eventuale superamento dell’orario di lavoro.

Il lavoratore conveniva in giudizio l’Ente, sostenendo come dall’interpretazione degli articoli del suddetto CCNL dovesse ricavarsi un obbligo per il dirigente, anche responsabile di struttura, di rispettare un determinato orario di lavoro, inoltre che il lavoro straordinario sarebbe ammissibile solo in caso di necessità o di espressa autorizzazione del dirigente responsabile, così che la retribuzione di risultato sarebbe idonea a compensare le ore eccedenti le 38 settimanali solo se correlate a obiettivi concordati e non, invece, in termini generali.

Di diverso avviso la Cassazione, che sul tema si era già pronunciata ( Sent. S.U. n. 9146/2009 ), con un principio interpretativo del CCNL della “dirigenza medica veterinaria 1994-1997”, ritenuto ora estendibile per analogia anche al rapporto dirigenziale in regime di CCNL Aris-Anmirs.

Secondo la Corte, nel contesto della dirigenza sanitaria non risulta possibile distinguere il maggior tempo di lavoro impiegato per il raggiungimento dei risultati assegnati e quello solo funzionale alle esigenze del servizio ordinario, essendo il fine ultimo della prestazione dirigenziale di un direttore di struttura quello di conseguire gli obiettivi propri dell’incarico affidatogli.

La sentenza sottolinea anche come sia interamente demandata alla contrattazione collettiva l’attribuzione dei trattamenti economici, in virtù del principio di omnicomprensività della retribuzione. L’interpretazione della Cassazione è ulteriormente corroborata dal fatto che ipotesi specifiche di compensazione dello straordinario sono state previste, ad esempio, d rispetto alle guardie mediche o alla pronta disponibilità.

La Corte, infine, ha precisato che la sistematica richiesta e accettazione di prestazioni che eccedano i limiti stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva rendono, al più, responsabile il datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., per il risarcimento del danno cagionato alla salute e alla personalità morale del lavoratore, sotto il diverso profilo di una violazione degli artt. 2, 32 e 35 della Costituzione. L’azione risarcitoria impone, tuttavia, al lavoratore un onere di allegazione dello svolgimento della prestazione secondo le modalità nocive, nonché di provare il nesso causale tra il danno sofferto e il lavoro svolto, mentre al datore di lavoro spetta dimostrare che la prestazione si è svolta secondo le normali modalità, coerentemente con la particolarità del lavoro, la tecnica e l’esperienza richieste.

______
*A cura di Alessandra Maniglio, Partner e Head of Employment&Benefits Team Deloitte Legal, Stefano Miniati, Partner Deloitte Legal, Marco Marzani, Senior Associate Deloitte Legal

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©