Lavoro

PA e lavoro agile, necessarie iniziative regolatorie per evitare asimmetrie e ambiguità

Superata l’emergenza pandemica, la transizione - non priva di sfide nonostante i potenziali benefici - presenta ancora criticità e nodi irrisolti

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di Michele Petrucci*

L’utilizzo di modalità di lavoro agile condiziona sempre più il rapporto tra datore di lavoro e dipendenti.

Gli “ smart worker ”, operando per obiettivi e con flessibilità di orario lo considerano segnale di attenzione alle proprie esigenze e condizione di benessere e mediamente presentano livelli di engagement molto alti.

Dal canto suo il datore ottimizza risorse e spazi fisici e consegue risparmi significativi anche per la maggiore adattabilità dell’organizzazione alle esigenze operative. Benefici per i quali anche in Italia, dopo una fisiologica contrazione successiva alla fine della emergenza pandemica, la crescita del lavoro agile si consolida (secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano il 2023 ha fatto registrare un +0,4% sul 2022 e nel 2024 i lavoratori coinvolti saranno oltre 3,5 mln).

La sua corretta attuazione è però tra i temi più dibattuti anche perchè sia la legge 81/2017 che il Protocollo nazionale sottoscritto, il 7 dicembre 2021, dalle parti sociali su iniziativa del Governo, demandano ad accordi individuali buona parte delle condizioni organizzative e attuative (potere di controllo del datore, uso degli strumenti, tempi di riposo, disconnessione, facoltà di recesso,etc) determinando disomogeneità e mutabilità delle modalità applicative, che peraltro devono essere compatibili con le esigenze dell’azienda come anche di recente ribadito dal Tribunale di Trieste.

Criterio quest’ultimo che, mal interpretato, induce qualche datore di lavoro a considerare il lavoro agile una semplice concessione per chi vive particolari condizioni da vincolare, come accade in presenza, a orari e sede (trascurando spesso che il lavoro da remoto va monitorato a distanza e, soprattutto, richiede di controllare periodicamente la postazione del dipendente).

Anche nel pubblico impiego il lavoro agile si sta trasformando in una modalità ordinaria di organizzazione del lavoro, come provano i contratti collettivi che hanno provato a regolamentarlo.

Superata però l’emergenza pandemica che ha imposto restrizioni e reso necessaria la ricerca di modalità alternative per assicurare, comunque, la funzionalità e la continuità dei servizi, la transizione, non priva di sfide nonostante i potenziali benefici, presenta ancora difficoltà: la sua piena attuazione appare frenata , oltre che dalle tradizionali criticità e resistenze culturali-organizzative delle singole amministrazioni, dalla normativa che, tra leggi, contratti e giurisprudenza, regolano il funzionamento della PA.

Il diritto al lavoro agile è stato infatti prorogato (Legge n. 191/2023 di conversione del dl. n. 145/2023) fino al 31 marzo 2024 ma solo per i lavoratori del settore privato con figli fino a 14 anni d’età (se la tipologia di lavoro che svolgono è compatibile con la modalità da remoto) e per i lavoratori (“fragili”) che risultano esposti al rischio di contagio dal virus all’esito dell’accertamento del medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria eccezionale introdotta nel periodo Covid (obbligo invero cessato il 31 luglio 2022).

Per il pubblico impiego invece è stata emessa a fine 2023 una Direttiva con lo scopo di “ sensibilizzare la dirigenza delle amministrazioni pubbliche ad un utilizzo orientato alla salvaguardia dei soggetti più esposti a situazioni di rischio per la salute, degli degli strumenti di flessibilità che la disciplina di settore – ivi inclusa quella negoziale - già consente”.

Una evidente asimmetria normativa, peraltro verificatasi dopo che due sentenze avevano chiaramente riaffermato come tutele, diritti e doveri devono essere coerenti e uniformi. Dapprima, infatti, la Corte Costituzionale (sentenza n.130/2023 ) si era pronunciata contro il differimento del pagamento del Tfr e al Tfs tra dipendenti privati e pubblici dichiarando illegittime due norme: l’articolo 3, comma 2 del decreto 79 del 1997 (che ha introdotto un termine di dilazione di un anno per il versamento della liquidazione) e l’articolo 12, comma 7, del decreto 78 del 2010, (che prevede la rateizzazione del Tfs).

Successivamente il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sentenza n. 16305/2023) ha annullato l’articolo 3 del decreto n. 206/2017 del Ministro della Semplificazione e della pubblica amministrazione e dichiarato incostituzionali le fasce orarie di reperibilità per le visite fiscali, che imponevano ai dipendenti pubblici un periodo di sette ore contro le quattro previste per i lavoratori del settore privato.

La direttiva del Ministro della Funzione pubblica invece non prevede nulla per i genitori con figli fino a 14 anni d’età e fornisce indicazioni generali alle quali poi ogni amministrazione deciderà come armonizzarsi. Il documento attribuisce infatti ai dirigenti la responsabilità di “individuare le misure organizzative che si rendono necessarie, attraverso specifiche previsioni nell’ambito degli accordi individuali, che vadano nel senso sopra indicato” e ai Vertici di ogni amministrazione la responsabilità di “adeguare tempestivamente le proprie disposizioni interne per rendere concreta e immediatamente applicata la direttiva”.

Indicazioni che sembrano peraltro non tenere nella dovuta considerazione quanto stabilito (anche se per un caso di lavoro privato) dal Tribunale di Grosseto (Giudice del Lavoro Giuseppe Grosso , ordinanza del 23 aprile 2020): “accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore, tantomeno laddove vi siano titoli di priorità legati a motivi di salute”.

Una Direttiva che, per come è emanata, appare originata dal combinato della considerazione che per il lavoratore pubblico è “superata l’esigenza di prorogare ulteriormente i termini di legge che stabilivano l’obbligatorietà del lavoro agile per i lavoratori che – solo nel contesto pandemico – sono stati individuati quali destinatari di una specifica tutela” con la constatazione che la PA è caratterizzatada una disciplina contrattuale collettiva ormai consolidata e dalla padronanza, da parte delle amministrazioni, dello strumento del lavoro agile come volano di flessibilità orientato alla produttività ed alle esigenze dei lavoratori”.

Ancora oggi, dunque il lavoro agile nella PA può essere introdotto tramite accordi individuali e con Piano Organizzativo del Lavoro Agile.

Ne consegue che l’attuazione può risultare non uniforme : alcuni dirigenti, magari meno inclini a farsi carico della responsabilità decisionale attribuita loro dalla Direttiva, privilegiano scelte più restrittive. Eludendo di fatto anche l’impegno convinto del Ministro il quale non perde occasione per sollecitare attraverso i media le amministrazioni a “garantire, ai lavoratori che documentino gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari, di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile, anche derogando al criterio della prevalenza dello svolgimento della prestazione lavorativa in presenza”.

Un commitment che avrebbe richiesto però una iniziativa legislativa non solo per evitare che siano assunte decisioni contradditorie verso lavoratori che, pur nella stessa condizione, non fanno riferimento al medesimo dirigente.

Ma anche perché l’utilizzo efficace del lavoro agile puo’ rappresentare un altro significativo cambiamento nel modo in cui lavoro pubblico viene concepito e svolto.

Con vantaggi anche in termini di attrattività in un tempo in cui, a fronte di un’età dei lavoratori pubblici ancora alta, la Pa torna ad assumere e alla ripresa dei concorsi fanno riscontro una diminuzione dei candidati e a un aumento delle rinunce.

La possibilità, infatti, di lavorare in modalità agile, conciliando meglio gli impegni professionali con quelli personali e migliorando la qualità della vita e la soddisfazione lavorativa costituisce fattore, cui sono molto sensibili le giovani generazioni, che contribuisce a rendere la Pubblica Amministrazione un datore di lavoro più competitivo.

In un quadro così complesso appare pertanto necessario e prioritario intraprendere iniziative regolatorie (politiche, regolamenti, accordi sindacali e individuali), chiare e univoche che promuovendo la combinazione ottimale tra tutela dei diritti del lavoratore, autonomia della prestazione, flessibilità ed esigenze organizzative, disciplinino il lavoro agile, senza margini per asimmetrie, ambiguità o interpretazioni discrezionali che finiscono per essere deresponsabilizzanti e controproducenti.

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*A cura dell’Ing. Michele Petrucci, Componente Organismo Indipendente di Valutazione già presidente di Nucleo di valutazione

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