Lavoro

Pa, legittimo il licenziamento sulla base della misura cautelare penale

Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 6221 di oggi, giudicando il caso di un furbetto del cartellino

di Francesco Machina Grifeo

Legittimo il licenziamento del dipendente a seguito della misura cautelare assunta dal Tribunale. La Pa infatti non è tenuta a procedere con una autonoma istruttoria, essendo libera di valutare in autonomia gli atti del procedimenti penale. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 6221 depositata oggi, rigettando il ricorso di un dipendente di un ospedale di Salerno licenziato per avere fatto ripetutamente timbrare il proprio cartellino da un collega.

Proposto ricorso, il dipendente aveva sostenuto, tra l'altro, che l'azienda sanitaria "non aveva svolto un accertamento autonomo in ordine ai fatti oggetto di contestazione disciplinare ma aveva posto alla base del licenziamento l'ordinanza del Gip, la quale, a sua volta aveva fatto riferimento agli atti di indagine della polizia giudiziaria, i quali non potevano essere equiparati ad una sentenza penale di condanna".

Di diverso avviso la Sezione Lavoro che ricorda come non è rinvenibile nell'articolo 55 bis del Dlgs n. 165/2001, che disciplina le forme ed i termini del procedimento disciplinare, e nemmeno nell'articolo 55 ter dello stesso decreto, che regola i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, "alcuna disposizione che impone alla Pubblica Amministrazione di procedere ad autonoma istruttoria, ai fini della contestazione disciplinare".

Per la Suprema corte infatti "la P.A. è libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente".

Semmai, come ha osservato Cass. 5284/2017, l'onere che incombe sul datore di lavoro di provare la effettiva realizzazione, da parte del lavoratore, delle condotte oggetto di contestazione disciplinare, "attiene non alla procedura disciplinare ma a quella della, eventuale, fase di impugnativa giudiziale del licenziamento da parte dei lavoratore e che, ferma l'immutabilità della contestazione disciplinare, non è impedito al datore di lavoro di richiedere nel giudizio la acquisizione di prove che non siano emerse nel corso del procedimento disciplinare, integrando, ad esempio, la produzione documentale o richiedendo la escussione di testimoni le cui dichiarazioni non siano state acquisite già nel corso del procedimento stesso" (Cass. 19183/2016).

Infatti, conclude la decisione, una volta venuta meno, per effetto della disciplina contenuta nell'articolo 55 ter del Dlgs n. 165 del 2001, la cosiddetta pregiudiziale penale e regolato per legge il possibile conflitto fra gli esiti dei procedimenti (articolo 55 ter ultimo comma, articoli 653 e 654 c.p.p.), nulla impedisce alla Pa di avvalersi, per dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare, degli atti del procedimento penale.

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