Comunitario e Internazionale

Paradisi fiscali, verso un modello di assessment integrato

L'etichettatura di alcuni paesi terzi come paradisi fiscali ("name and shame list") sembrerebbe basarsi su un metodo di valutazione del rischio imperniato su indicatori qualitativi che non sembrano descrivere, in concreto, il reale livello di rischio del paese

di Marco Letizi*


Lo scorso 21 gennaio, il presidente della sottocommissione FISC del Parlamento europeo - istituita il 18 giugno 2020 con decisione del Parlamento europeo (2020/2681 (RSO) per assistere la commissione ECON (Commissione per i problemi economici e monetari) in relazione alle questioni fiscali, in particolare la lotta alla frode fiscale, all'evasione fiscale e all'elusione fiscale, nonché la trasparenza finanziaria a fini fiscali - ha aspramente criticato l'attività di assessment della fiscalità dei paesi terzi condotta dal gruppo di esperti denominato "Codice di condotta" (gruppo di esperti in materia fiscale composto da rappresentanti ad alto livello degli Stati membri e della Commissione europea), sottolineando come tali giurisdizioni debbano essere valutate in modo equo, utilizzando gli stessi parametri.

Al riguardo, la sottocommissione FISC ha contestato al citato gruppo di esperti la mancanza di trasparenza con la quale viene elaborato e aggiornato l'elenco dei paradisi fiscali e ha imposto che lo stesso venga formalizzato attraverso uno strumento giuridico vincolante, evidenziando peraltro come nella black list europea non figurino né alcuni paesi terzi a elevato rischio di evasione fiscale e di riciclaggio (Guernsey, Bahamas e le Isole Cayman) né alcuni Stati membri che, a tutt'oggi, non rispettano gli standards imposti dal legislatore europeo, tenendo anche conto del fatto che i paesi UE sono responsabili del 36% circa dell'evasione fiscale globale.

Le critiche lanciate dal Parlamento europeo alla Commissione con riferimento al metodo selettivo dalla stessa adottato nell'individuazione dei paradisi fiscali rappresentano anche una critica indiretta al processo di valutazione adottato dal GAFI e dall'OCSE, nei rispettivi settori di competenza, atteso che l'Unione europea ha sostanzialmente mutuato i criteri selettivi delle due citate organizzazioni internazionali strumentali all'elaborazione della lista delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali (black list e grey list) e della black list dei paesi con carenze strategiche nei loro sistemi AML/CFT.

La posizione critica assunta dalla sottocommissione FISC è stata formalizzata dal Parlamento europeo che ha recentemente approvato una risoluzione volta non solo a modificare la lista dei paesi non conformi fiscalmente ai principi dell'Unione europea ma addirittura a riformare il sistema di selezione adottato dalla Commissione per redigere la black list europea, in quanto ritenuto dal Parlamento europeo «confuso e inefficace».

Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione, cita i dati pubblicati dal Tax Justice Network in base ai quali i paesi indicati nella black list della Commissione «coprono meno del 2% delle perdite di gettito fiscale a livello mondiale».

Tra i criteri selettivi da aggiornare - seguendo un approccio trasversale che abbraccia sia l'ambito della mutua assistenza amministrativa in ambito fiscale che il dispositivo AML/CFT - il Parlamento europeo ha evidenziato la necessità di una maggiore trasparenza sulla titolarità effettiva delle società, delle altre entità giuridiche e dei trust, in linea con la direttiva 2015/849/UE, nonché di espandere il requisito di tassazione equa finalizzata a vigilare non solo sui ring fencing regimes ma anche sulle esenzioni fiscali, ponendo, altresì, una maggiore attenzione al tema del transfer pricing con riferimento ai volumi non giustificati.

Sebbene l'attività di assessment sviluppata da OCSE, GAFI e Unione europea si traduca, come detto, sostanzialmente in una attività di listing di giurisdizioni non compliant, tale approccio metodologico sembra essere però in controtendenza rispetto al dispositivo di contrasto alla concorrenza fiscale dannosa che, su scala globale, le stesse principali organizzazioni internazionali e il legislatore europeo hanno ridefinito negli ultimi anni; infatti, alla staticità del tradizionale approccio selettivo, cristallizzato nell'individuazione dei criteri distintivi delle giurisdizioni a fiscalità privilegiata e alla formalizzazione di liste nelle quali far confluire le giurisdizioni valutate come fiscalmente pericolose, si sono preferiti meccanismi finalizzati al potenziamento del processo di osmosi informativa tra i vari Stati in materia fiscale.

In senso conforme a questo orientamento si è mosso anche il nostro paese che ha adottato un metodo di valutazione che si basa sul criterio del livello nominale di tassazione e al contestuale sistema di adeguato scambio di informazioni, abbandonando la logica selettiva finalizzata alla tassativa elencazione di giurisdizioni a rischio.

Se è vero che le principali organizzazioni internazionali hanno elaborato, negli anni, dei modelli di valutazione che, basandosi su preordinati criteri distintivi, potessero essere il più possibile attendibili, è altrettanto evidente però che l'obiettivo di tali metodi di elaborare una lista tassativa di giurisdizioni ritenute a rischio (più o meno elevato) nei due più volte richiamati ambiti di competenza, a nostro avviso, appare superata, indipendentemente dagli aggiornamenti che tali elencazioni periodicamente subiscono.

Il processo di listing elaborato dalle organizzazioni internazionali di un novero di giurisdizioni valutate a rischio, se da un lato semplifica il processo selettivo, tracciando una netta linea di demarcazione, ancorché provvisoria, tra le giurisdizioni virtuose e quelle valutate non compliant, dall'altro non solo non sembra sempre rispondere esaustivamente al reale livello di rischio delle giurisdizioni listate ma, in alcuni casi, costituendo una sorta di certificazione ufficiale di opacità, potrebbe addirittura incentivare l'afflusso in quella giurisdizione di flussi finanziari di derivazione illecita.

Invero, l'etichettatura di alcuni paesi terzi come paradisi fiscali ("name and shame list") sembrerebbe basarsi su un metodo di valutazione del rischio imperniato su indicatori qualitativi che non sembrano descrivere, in concreto, il reale livello di rischio del paese.

Al riguardo, la valutazione espressa da qualsiasi organizzazione internazionale rispetto a una determinata giurisdizione può divergere (anche sensibilmente) da quello dell'Unione europea proprio in ragione di una differente percezione del rischio (risk management) proprio perché si basa su una valutazione squisitamente qualitativa.

Appare quindi evidente che questo approccio metodologico di tipo qualitativo dovrebbe essere necessariamente mitigato, introducendo degli indicatori quantitativi di opacità dei presunti paradisi fiscali come, ad esempio, la densità delle imprese o degli intermediari finanziari in un determinato Stato rispetto alla popolazione residente, la rilevanza degli scambi finanziari con l'estero, il numero e la capacità economica dei clienti degli intermediari finanziari che operano nella giurisdizione, la densità delle NGOs, ecc.

Più nel concreto, il fatto che numerosi paesi non siano stati etichettati come paradisi fiscali o paesi ad alto rischio di riciclaggio ma che tuttavia presentano gravissime deficienze nei loro sistemi fiscali e antiriciclaggio dimostra l'evidente disallineamento esistente tra la valutazione espressa dalle organizzazioni internazionali nei confronti di tali giurisdizioni e le evidenti strategiche deficienze gravanti sia sui loro sistemi nazionali AML/CFT che rispetto ai principi di trasparenza ed equità fiscali.

La disciplina in materia di cooperazione amministrativa a fini fiscali ha evidenziato come le attività di compliance sia in ambito fiscale che nel comparto AML/CFT siano, in buona sostanza, due facce della stessa medaglia anche in ragione del fatto che lo scambio automatico afferisce sia ai dati reddituali fiscalmente rilevanti che a quelli finanziari con particolare riferimento alla adeguata verifica della clientela, in conformità agli standards in materia di trasparenza fiscale imposti dall'OCSE. Tenuto conto delle sempre maggiori interrelazioni tra le normative AML/CFT e quelle a contrasto della frode fiscale, dell'evasione fiscale, della pianificazione fiscale aggressiva e BEPS, le misure di contrasto afferenti ai rispettivi comparti non possono essere adottate senza un approccio sistemico.

In altri termini, riteniamo che i processi di valutazione e di individuazione delle giurisdizioni non compliant in entrambi i richiamati ambiti non possano svilupparsi (come a tutt'oggi avviene) in modo completamente autonomo ma che invece debbano necessariamente compenetrarsi e influenzarsi reciprocamente secondo un modello valutativo unico che venga condiviso dall'Unione, dall'OCSE e dal GAFI e che tenga conto simultaneamente dei criteri di valutazione riferiti sia al comparto AML/CFT che a quello fiscale.

Sarebbe auspicabile, pertanto, addivenire a un processo valutativo unico sia per il comparto AML/CFT che per quello fiscale che possa essere supportato da un'unica piattaforma centrale a livello europeo (unico punto di accesso) - che, tra l'altro, assurgerebbe a strumento fondamentale per consentire agli Stati membri di espletare le attività di due diligence sia in ambito fiscale che AML/CFT - sulla quale ospitare: il registro centrale unico in ambito fiscale contenente le informazioni scambiate tra le competenti autorità in modo automatico e obbligatorio afferenti a un'ampia gamma di redditi; i due registri centrali in ambito AML/CFT relativi, rispettivamente, alla titolarità effettiva delle società e dei trusts; il meccanismo centralizzato automatizzato contenente le informazioni sull'identità dei titolari, dei rappresentanti e dei titolari effettivi di conti bancari, conti di pagamento e cassette di sicurezza; la "piattaforma delle FIUs dell'Unione".

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*Marco Letizi, Avvocato e Dottore Commercialista Esperto della Commissione europea, del Consiglio europeo e dell'OSCE

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