Lavoro

Part-time, violazione delle clausole flessibili e risarcimento simbolico del danno

L'eventuale illegittimità o nullità delle clausole elastiche e anche di quelle flessibili non comportano necessariamente la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno ma il diritto del lavoratore a vedersi riconosciuta in aggiunta alla retribuzione dovuta un'indennità a titolo di risarcimento del danno

di Tommaso Targa*


La sentenza in commento si è pronunciata in merito al ricorso presentato da una lavoratrice addetta, con orario di lavoro part-time, a mansioni promiscue di maschera, cassiera e barista, presso un cinema multisala.

La ricorrente – pur avendo accettato l'inserimento nel contratto di assunzione di una clausola elastica – ha lamentato che il datore di lavoro, in violazione della normativa all'epoca vigente (d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61), avrebbe abusato di tale clausola, adibendola in modo sistematico allo svolgimento delle sue mansioni al di fuori dell'orario di lavoro contrattualmente pattuito, ed anche a turni notturni non previsti, così violando la disciplina di legge e del CCNL applicabile.

A fronte di ciò, la lavoratrice ha chiesto il pagamento di differenze retributive, il risarcimento del danno alla salute, nonché l'ulteriore indennizzo previsto (all'epoca dei fatti) dall'art. 8 co. 2bis del d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61, norma attualmente trasfusa nell'art. 10 co. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81 (uno dei decreti attuativi del "jobs act").

La sentenza in commento è di rilievo perché - al di là delle questioni relative al danno patrimoniale e al danno biologico, che sono state decise alla luce delle emergenze documentali del caso specifico – ha affermato un principio valido in via generale, ed anche in relazione alla normativa attualmente vigente.

Infatti, la sentenza è partita dal presupposto secondo cui il potere/dovere del giudice di riconoscere al lavoratore un risarcimento del danno non patrimoniale per la violazione della normativa in materia di clausole elastiche, pur prevedendone la quantificazione equitativa, richiede pur sempre la prova, perlomeno indiziaria, della sussistenza nell'an. In assenza di elementi di rilievo, la sentenza – non potendosi esimere dall'indicare un importo, essendo ciò previsto ex lege – lo ha quantificato in misura sostanzialmente simbolica, ossia € 1.000,00 liquidati per un periodo di tempo di oltre 4 anni, quindi meno di € 250,00 all'anno. E ciò sebbene, dagli atti di causa, fosse risultata una violazione sistematica e continuativa delle disposizioni sulle clausole elastiche.

Il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento è stato avvalorato richiamando l'insegnamento della Suprema Corte (Cass. 23 gennaio 2009 n. 1721) secondo cui "L'eventuale illegittimità o nullità delle clausole elastiche e anche di quelle flessibili non comportano necessariamente la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno ma il diritto del lavoratore a vedersi riconosciuta in aggiunta alla retribuzione dovuta un'indennità a titolo di risarcimento del danno, in ragione della maggiore disponibilità richiesta al lavoratore. Incombe tuttavia su quest'ultimo l'onere di provare il pregiudizio subito, in conseguenza dell'illegittimo comportamento del datore di lavoro".

* Tommaso Targa – Trifirò & Partners Avvocati

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