Penale

Passa all’unanimità la riforma del processo penale

Insieme alla riforma del processo civile, approvata la scorsa settimana, infatti, e alle nuove misure sulla crisi d’impresa, da qualche settimana in vigore, l’intervento sul penale rappresenta un elemento fondamentale della manovra sulla giustizia concordata in sede europea

di Giovanni Negri

Passa all’unanimità il decreto legislativo sul processo penale in consiglio dei ministri. E non era scontato. A sottolinearlo la ministra Marta Cartabia: «È motivo di grande soddisfazione che sui temi della giustizia, che riguardano tutti i cittadini, ci sia stata una così ampia condivisione». Alla fine, un soprassalto di responsabilità evita di compromettere la sorte di uno dei provvedimenti chiave del Pnrr. Insieme alla riforma del processo civile, approvata la scorsa settimana, infatti, e alle nuove misure sulla crisi d’impresa, da qualche settimana in vigore, l’intervento sul penale rappresenta un elemento fondamentale della manovra sulla giustizia concordata in sede europea.

Con un obiettivo ambizioso certo, il taglio del 25% di durata dei procedimenti penali in 5 anni, ma che al ministero della Giustizia, che recentemente ha incassato il giudizio positivo della commissione europea sulle riforme, considerano in qualche modo inevitabile. A testimoniarlo ci sono i numeri che vedono l’Italia primo Paese condannato per eccessiva lunghezza dei processi tra i paesi del Consiglio d’Europa, ben 1202 condanne dal 1959, data di inizio attività della Corte europea dei diritti dell’uomo.

A questo punto il provvedimento passa al Parlamento , con 60 giorni di tempo a disposizione delle commissioni Giustizia di Camera e Senato per esprimere pareri che comunque non saranno in grado di impedire l’approvazione in seconda lettura da parte Governo. Intanto, segnale comunque della volontà di procedere anche nei tempi tutti particolari della campagna elettorale, i decreti delegati su processo civile e penale saranno affidati ai medesimi relatori che seguirono le rispettive deleghe un anno fa.

Intanto il decreto approvato ieri interviene su tutte le fasi del processo penale, dalle indagini preliminari, al dibattimento, ai riti alternativi, al processo in contumacia, ai giudizi di impugnazione, fino all’esecuzione. Un primo gruppo di misure punta a realizzare la transizione digitale e telematica del processo penale, attraverso significative innovazioni su formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti, registrazioni audiovisive e partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza.

Una seconda area di intervento interessa la fase delle indagini per ridurne i tempi, incidendo sui termini di durata e introducendo rimedi giurisdizionali alla eventuale stasi del procedimento, provocata dall’inerzia del pm; nello stesso tempo saranno maggiormente filtrati i procedimenti suscettibili di essere portati all’attenzione del giudice, esercitando l’azione penale, in questo senso non potranno approdare al dibattimento i procedimenti dove sono basse le possibilità di ottenere una condanna.

Ma a essere oggetto della riforma sono anche punti chiave come l’udienza preliminare, il giudizio di primo grado e le impugnazioni, dove gli interventi provano a tenere in equilibrio la tutela dei diritti delle parti e delle garanzie del giusto processo (in questo senso si muovono la radicale rivisitazione del processo in contumacia, ma anche le novità rappresentate dalla introduzione della udienza “filtro” nel procedimento con citazione diretta e dal regime delle contestazioni suppletive) e le esigenze di efficienza dell’accertamento processuale (da segnalare, tra le altre, le misure di incentivazione all’accesso ai procedimenti speciali, tra le quali da segnalare l’estensione del patteggiamento anche alla confisca e alle pene accessorie, le regole per la riassunzione della prova nel caso di cambiamento del giudice, le forme semplificate di trattazione “cartolare” delle impugnazioni, fatta sempre salva la possibilità per le parti di ottenere la trattazione in pubblica udienza).

Ma il decreto estende anche l’area di operatività di istituti come la messa alla prova e di cause di non punibilità come quella per tenuità del fatto. Sulla messa alla prova, introdotta nel 2014, per la quale serve il consenso sia del pubblico ministero sia dell’imputato, la riforma ne allarga il perimetro anche a reati puniti con un massimo di pena di 6 anni (anche se al ministero si fa notare, per smorzare le polemiche, che già oggi la messa alla prova è possibile anche per reati puniti più severamente come la ricettazione, sanzionata con 8 anni).

Allargata anche l’archiviazione per particolare tenuità del fatto in tre direzioni: 1) estensione dell’ambito di applicabilità dell’istituto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni; 2) attribuzione di rilievo alla condotta successiva al reato, per la valutazione del carattere di particolare tenuità dell'offesa; 3) esclusione dall’applicazione della causa di non punibilità ad alcuni reati: in particolare, mai la violenza sulle donne e quelli riconducibili alla Convenzione di Istanbul; esclusi anche i reati in materia di stupefacenti, reati contro la pubblica amministrazione o il tentativo di incendio.

Molto aveva insistito la ministra Cartabia sul tema della giustizia riparativa che nel decreto viene definita come ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un mediatore. In questa prospettiva, la giustizia riparativa concorre all’efficienza della giustizia penale agevolando la riparazione dell’offesa e la tutela dei beni colpiti dal reato; incentivando la remissione della querela; facilitando il percorso di reinserimento sociale del condannato; riducendo i tassi di recidiva e il rischio di reiterazione del reato nei rapporti interpersonali; rappresentando uno strumento per le politiche di prevenzione della criminalità

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