Payroll Giving, iniziative solidaristiche e regime previdenziale applicabile
L'assenza di una norma o di una disposizione di prassi crea dubbi e difficoltà pratiche che spesso le aziende risolvono seguendo la linea prudenziale del versamento contributivo per non incorrere in contenziosi
Le numerose iniziative di solidarietà che le aziende e dipendenti stanno mettendo in atto a favore della popolazione ucraina, sono l'occasione per fare qualche riflessione sulle problematiche di gestione del "payroll giving" sotto il profilo previdenziale, vale a dire nella donazione, da parte del dipendente, di una o più ore dello stipendio mensile che, nella forma classica avviene attraverso la trattenuta dell'importo dalla busta paga operata dal datore di lavoro che poi la destina ad un ente, in genere onlus. La quota trattenuta e poi versata può beneficiare di agevolazioni fiscali (detrazioni o deduzioni) seguendo la procedura indicata dall'Agenzia delle Entrate con le Risoluzioni nn. 441/E del 2008 e 160/E del 2009 cui si rinvia.
Sempre più spesso le iniziative solidaristiche riguardano l'utilizzo del monte ferie e permessi accantonato e non ancora goduto, ma senza richiesta di monetizzazione. In tale caso, in assenza di una norma che disciplini tale fattispecie sorgono dei dubbi circa la rilevanza ai fini dell'assoggettamento contributivo.
A primo acchito parrebbe applicabile, per analogia, la disciplina sulla cessione di ferie solidali (24, D.Lgs. 151/2015). Ma a ben vedere le finalità e le modalità dei due strumenti sono diverse. Nel primo il dipendente cede a colleghi i riposi e le ferie maturate. Nel caso del payroll giving il fine solidaristico si sostanzia nel trasferire una somma di denaro.
Un qualche elemento di somiglianza lo si intravede nella disposizione prevista dal CCNL dei dipendenti del credito relativamente al F.O.C. nella parte in cui prevede che il finanziamento di tale Fondo, per i quadri direttivi, avviene con una giornata di ex festività. Quale l'elemento di analogia? Il fatto che il dipendente cede il controvalore di un giorno di ex festività. Tale devoluzione non sconta assoggettamento né contributivo, né fiscale.
Ed ancora la previsione dal CCNL dei dirigenti di aziende industriali nella parte in cui prevede la decadenza delle ferie non godute decorsi 24 mesi. La decadenza ha quale effetto quello della irrilevanza ai fini contributivi. La tesi dell'assoggettamento si basa sul principio della irrinunziabilità delle ferie sancito dall'articolo 36 della Costituzione che, comunque, è limitato a 20 giorni annui per effetto dell'articolo 10 del D.Lgs. 66/2003. E quindi, la devoluzione di giorni di ferie deve limitarsi a quelli superiori a 20 giorni i quali, essendo nella disponibilità delle parti, potranno anche essere monetizzati. Ed in tale ipotesi è pacifica l'assoggettamento a ritenute previdenziali e fiscali operate in busta paga.
Ma è questa l'unica soluzione? Ebbene, il potere di disposizione per i giorni eccedenti i 20 può anche declinarsi in una rinuncia. Il lavoratore può decidere di rinunziare ai giorni di ferie che sono nella sua disponibilità.
Sul punto la giurisprudenza ha fissato un principio secondo cui il lavoratore non può disporre dei profili contributivi collegati al rapporto di lavoro e con ciò sancendo che l'obbligo contributivo del datore di lavoro permane anche quando il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti. Il credito contributivo dell'ente previdenziale non può essere pregiudicato da atti posti in essere da terzi.
Ma perché la giurisprudenza è arrivata a tale enunciazione? Certamente per salvaguardare il diritto di un terzo (INPS) ma anche per evitare che accordi intervenuti tra datore di lavoro e lavoratore possano avere un fine elusivo generando vantaggi alle parti. E' questo quello che accadrebbe nell'ipotesi in commento? Riteniamo di no, né per il datore di lavoro, né per il dipendente. Infatti, il datore di lavoro verserebbe il debito per ferie accantonato ed il dipendente mai usufruirà di tali giorni di ferie.
Il fine solidaristico sotteso alla decisione del dipendente dovrebbe, vista anche l'assenza di norma (e della prassi!), giustificare l'esonero contributivo.
Il dipendente, come detto, può disporre di giorni di ferie e può decidere, volontariamente, di chiedere al datore di lavoro di devolvere il controvalore ad una ONLUS, in modo diretto, senza che ne chieda la monetizzazione.
In tale situazione, può la scelta del dipendente gravare sul datore di lavoro che sarebbe chiamato a versare la contribuzione a suo carico?
In tutto questo quadro, possono i principi della tutela del diritto di credito dell'ente previdenziale e quello della competenza, avere prevalenza assoluta tale da comportare l'assoggettamento di una somma che mai entra nella disponibilità del lavoratore?
E' indubbio che l'assenza di una norma o, quantomeno, una disposizione di prassi, crea dubbi e difficoltà pratiche che spesso le aziende risolvono seguendo la linea prudenziale del versamento contributivo per non incorrere in contenziosi. E' auspicabile un intervento chiarificatore vista anche la finalità del "payroll giving" e del forte bisogno di una spinta sempre più forte verso finalità solidaristiche.
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*A cura di Carlo Dori, partner Pirola Pennuto Zei & Associati