Per condividere le conoscenze nello studio c’è il knowledge manager
Addio all’avvocato geloso custode di segreti e documenti. Il nuovo che avanza si chiama «condivisione della conoscenza». Negli ultimi anni ha fatto capolino negli studi il knowledge manager, su ispirazione delle grandi law firm anglosassoni e americane dove questa figura esiste da tempo.
Qualcuno l’ha soprannominato «il bibliotecario 4.0». In effetti il manager della conoscenza è la memoria dello studio, ma sarebbe riduttivo limitarsi a questa definizione. Secondo la letteratura giuridica è la figura che «connette le persone, le informazioni, le conoscenze e le procedure utilizzando la necessaria tecnologia». In altre parole organizza il sapere. Un ruolo trasversale, che mantiene contatti costanti con tutti gli avvocati dei vari dipartimenti, con compiti dalle numerose sfaccettature: dalla gestione delle pubblicazioni alla formazione, fino all’organizzazione di eventi, così come il suo profilo professionale, che in genere è quello di un avvocato con percorsi diversi.
Per ora questa figura è presente negli studi medio-grandi, ma secondo gli addetti ai lavori potrebbe affermarsi anche in realtà più piccole.
Percorsi diversi
C’è chi è approdato a questo ruolo dopo esperienze di associato in altri studi legali, nazionali e internazionali, come Lia Campione, a capo del team di knowledge management di Linklaters Italia, o Patrizia Circosta, manager della conoscenza di Gop (Gianni Origoni and Partners). O chi, come Marco Ferraro, 25 anni fa è stato tra i fondatori dello studio Fga (Ferraro e Giove Associati) e ora esercita anche il ruolo di manager della conoscenza. O chi, come Marta Cenini, è stata reclutata da Dla Piper per la sua competenza accademica.
«Per esercitare questo ruolo - dice Circosta, che è knowledge manager dal 2009- l’esperienza acquisita in settori diversi è fondamentale e facilita nel rapporto con gli avvocati dello studio e con le materie trattate. Richiede però un vero e proprio salto culturale e di prospettiva, perché si tratta di un lavoro a servizio dei propri colleghi. Dal palcoscenico si passa infatti dietro le quinte». Il legale ha mosso i primi passi come manager della conoscenza realizzando la banca dati, che raccoglie precedenti e standard dei diversi dipartimenti dello studio . «Lo standard - aggiunge - è una sorta di abito semi-sartoriale che viene condiviso tra i professionisti dello studio, costantemente aggiornato e di volta in volta adattato, ottimizzando così il lavoro».
Struttura orizzontale
Fga, oltre a una struttura verticale “a matrice” con sette dipartimenti, ne ha messa in campo una orizzontale per la condivisione delle informazioni e dei servizi. «A facilitare il lavoro - dice Ferraro - è stata in questi anni la tecnologia. Già nei primi anni Duemila il nostro studio ha sperimentato forme di fascicolazione elettronica e dal 2008 abbiamo avviato un piano per eliminare progressivamente il cartaceo. Tutte le nostre procedure e regole sono condivise. Abbiamo predisposto anche un sistema per poter accedere in modo riservato alle pratiche via web, con l’indicazione dello stato dell’arte della procedura». E ora l’intelligenza artificiale rappresenta la nuova sfida.
Lia Campione è arrivata a Linklaters nell’ottobre 2015 e guida un team di tre persone: un advisor, un assistente e uno studente di giurisprudenza, che viene selezionato ogni 3-4 mesi per uno stage nel team. Tra i suoi compiti, oltre alla condivisione della conoscenza, c’è anche la formazione obbligatoria e facoltativa . «Puntiamo molto - afferma - sul training dei giovani, con corsi pratici per far comprendere come si svolge l’attività di avvocato». Uno dei corsi rivolto ai neo praticanti è quello sulla due diligence. «Tra i requisiti indispensabili per poter esercitare questo lavoro - spiega - ci sono senz’altro una buona dose di pazienza, la capacità di relazionarsi agli altri e la propensione a far crescere i più giovani».
A Dla Piper Marta Cenini, docente aggregato di diritto privato presso l’Università Statale di Milano, ha messo a frutto le sue competenze. «Sono stata scelta - dice - per la mia esperienza accademica: mi occupo infatti del controllo e della gestione dei contenuti e delle pubblicazioni dello studio. Sono il supervisore della biblioteca, valuto l’acquisto di libri (cartacei e e-book), ma sono anche responsabile dell’adeguamento dei modelli predefiniti di documentazione dello studio italiano a quelli degli uffici presenti negli altri Paesi». Non solo. Cenini è anche impegnata nell’organizzazione dei percorsi di formazione con un ciclo di lezioni utili per i crediti. E l’appartenenza a un grande studio le consente di entrare in contatto con i colleghi knowledge manager degli altri Paesi in cui è presente Dla Piper.
I vantaggi
Quali sono i vantaggi dati dalla presenza di un knowledge manager nello studio? Gli esperti interpellati sono unanimi: in prima battuta una maggiore efficienza e la velocizzazione dei tempi e delle procedure. Qualcosa, intanto, si muove. «Da qualche tempo – spiega Campione - mi chiedevo se la mia figura professionale, di ispirazione anglosassone e molto diffusa all’estero, fosse presente in altri studi internazionali o domestici. È così a ottobre del 2017 ho provato a cercare le mie omologhe tra Milano e Roma e ho scoperto di non essere la sola a chiedermelo». Grazie anche al passaparola un gruppo di knowledge manager (per ora tutte donne) si sono messe in contatto e hanno organizzato i primi incontri.
«Abbiamo scoperto - conclude - di essere in tante con ruoli a volte diversi (soprattutto in realtà di dimensioni più piccole) ma con la stessa matrice comune: l’accrescimento e la gestione della conoscenza negli studi legali».