Responsabilità

Per le lesioni alla salute danni dalla casa di cura ma non dal medico

L’operatore che ha fatto l’intervento risponde solo per dolo o colpa grave

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di Filippo Martini

La responsabilità di una struttura sanitaria per il danno arrecato con incuria o imprudenza al paziente ricoverato per un trattamento sanitario non necessariamente comporta la responsabilità anche del medico intervenuto nel caso specifico, perché i requisiti della colpa differiscono fra quella (di natura contrattuale) dell’ospedale e quella (extracontrattuale) del medico. Peraltro, l’azienda sanitaria condannata per responsabilità può rivalersi nei confronti del medico operatore per quanto pagato al paziente solo se dimostra che il medico ha agito con dolo o colpa grave, senza uniformarsi ai protocolli clinici previsti per il trattamento.

Lo ha stabilito il Tribunale di Modena con sentenza del 15 settembre 2022 (giudice Primiceri), nel giudizio promosso da un paziente contro la casa di cura presso la quale era stato sottoposto a intervento chirurgico e a successiva profilassi anti-infettiva da cui sarebbero però derivati danni gravi alla persona. Dagli accertamenti eseguiti, infatti, era emerso che la profilassi antibiotica prescritta dai sanitari era nota per avere riflessi negativi sul sistema muscolo-scheletrico; in effetti, aveva portato alla rottura del tendine d’Achille.

Nel condannare la casa di cura, il tribunale rammenta che la struttura ospedaliera risponde per responsabilità contrattuale per il solo fatto di avere ricoverato il paziente e di avere assunto nei suoi confronti un’obbligazione di cura. Per liberarsi dalla richiesta di risarcimento, deve provare di avere «predisposto in maniera eccellente e tempestiva tutti i servizi e di essersi altresì avvalsa di personale competente e idoneo». Quanto, invece, alla posizione del medico, chiamato in causa dalla casa di cura per ottenere, in via di regresso, la somma da versare, in caso di condanna, al paziente, il Tribunale rammenta che persino l’inadempimento del medico non costituisce mai causa di pieno esonero da colpa per l’ospedale, perché resta responsabile della scelta compiuta e risponde anche del fatto doloso o colposo del medico.

Quanto poi all’azione di regresso, la richiesta di restituire le somme pagate a titolo di risarcimento del danno al paziente può essere accolta solo quando venga provato che il medico abbia agito con dolo o colpa grave, secondo l’articolo 9 della legge Gelli, la 24 del 2017. Nel caso in questione, peraltro, era emerso come il medico si fosse attenuto alle direttive e ai protocolli farmacologici previsti dalla stessa struttura convenuta, escludendo quindi ogni condotta colposa qualificabile come “grave”. Viene quindi condannata solo la casa di cura per l’errato protocollo farmacologico, adottato dal medico attendendosi alle direttive dell’istituto.

La sentenza è sia in linea con la ratio della legge Gelli, che regola la colpa sanitaria nei rapporti tra paziente, struttura e medico, sia conforme alla giurisprudenza di legittimità. Infatti, ad esempio, con la sentemza 32972 del 9 novembre 2022, la Cassazione ha chiarito che il paziente deve provare, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta errata dell’azienda ospedaliera nella sua materialità e il danno lamentato. L’azienda sanitaria deve invece provare o l’adempimento o che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a essa non imputabile.

Quanto invece al medico, la legge Gelli ha inteso liberare il professionista dai “lacci” della responsabilità contrattuale, spostando il baricentro della colpa in prima battuta sulla struttura sanitaria.

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