Per provare la guida sotto effetto di droghe è attendibile l’esame del sangue e non delle urine
Vanno comunque valutati globalmente tutti gli elementi convergenti a dimostrare lo stato di alterazione comprese le valutazioni sul comportamento del soggetto effettuate nell’immediatezza dagli agenti stradali
Il reato di guida sotto l’influenza di sostanze psicotrope si consuma non per la pregressa assunzione di droga, ma per essersi posti alla guida in stato di alterazione psico-fisica. E senza che sia necessario il raggiungimento di uno stato di intossicazione dovuto a una data sostanza stupefacente. Ciò che conta è l’assunzione recente della sostanza - in grado di influenzare le capacità cognitive e fisiche durante l’attività di guidare - e questa è più compiutamente provata dall’esame del sangue piuttosto che da quello delle urine dove la positività è ben possibile che sia dovuta a un uso pregresso della droga.
L’alterazione che fa scattare il reato per il conducente va comunque dimostrata tanto con i prelievi di campioni biologici quanto con l’esame percettivo e visivo svolto nell’immediatezza dalle stesse forze dell’ordine che operano il controllo stradale. Per cui anche in caso di fuga di fronte all’alt delle forze di polizia questa costituisce prova ulteriore del reato se dall’osservazione della polizia emerge che la condotta di fuga sia stata determinata dallo stato alterato del conducente che cerca di scappare anche se mosso dal fine specifico di evitare l’accertamento sulle sue condizioni psicofisiche. Lo stesso dicasi per l’aggravante di aver provocato un incidente che è circostanza che va valutata provandone la sua derivazione dallo stato di alterazione dell’agente.
La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 2020/2025 - ha rigettato il ricorso di persona che, condannata per il reato previsto dall’articolo 187 del Codice della strada aggravato dall’incidente verificatosi col tentativo di fuga, sosteneva che l’uso di cocaina fosse da collocare in un momento pregresso e risalente rispetto a quello dell’alt della polizia stradale.
Egli contestava, in particolare, la validità dell’esame effettuato sui campioni di sangue e urine in quanto realizzato da struttura non accreditata a svolgere tali attività di supporto a quelle “investigative”.
La Cassazione - tralasciando il mancato esame in sede di legittimità sul punto della sussistenza o meno dell’accreditamento della struttura sanitaria che aveva svolto gli esami - ha indirettamente colto il rilievo del ricorrente contro l’affidabilità dell’esame delle urine, affermando che è preminente prova quello condotto sul sangue, in quanto capace di rilevare la presenza della droga che sia dovuta a una recente assunzione quando la sostanza sia rinvenuta ancora nel circolo sanguigno. Ribadisce così la Cassazione che vada provata la presenza attuale di droga nel corpo della persona al fine di poter dimostrare che la stessa guidasse sotto gli effetti psicotropi della sostanza incriminata. Mentre dalle urine può emergere un uso pregresso e ininfluente sulle condizioni personali al momento di porsi alla guida.
Infine, la Cassazione respinge il ricorso che tendeva ad annullare come fonti di prova la percezione degli agenti sullo stato in cui si trovava la persona fermata che una volta arrestatasi per l’incidente verificatosi nel tentativo di fuga aveva manifestato grande agitazione che intendeva imputare alla paura determinata dall’alt della polizia. Al contrario, tanto gli agenti quanto i giudici di merito hanno ritenuto di poter ricondurre la condotta animosa del ricorrente all’assunzione recente di cocaina. Giudizi di merito che non possono essere destituiti di fondamento per contrasto alla tesi difensiva.
In conclusione, non è il singolo elemento - ossia gli esami su campioni biologici e osservazione del comportamento da parte della polizia - a determinare la condanna, ma la loro valutazione globale oggetto della cognizione del giudice di merito.