Civile

Per provare i pagamenti in contanti tra parenti basta il testimone

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di Antonino Porracciolo


Basta il testimone per provare il pagamento di denaro in contanti da nipote a zio. In questo caso, infatti, lo stretto rapporto di parentela può indurre il debitore a non chiedere la firma di un atto scritto con quietanza liberatoria al momento del versamento di quanto dovuto. Così, in caso di successiva controversia, la prova dell’esborso può esser data anche con una testimonianza, pure in deroga ai limiti previsti dall’articolo 2721 del Codice civile.
In questi termini si è espressa la Corte d’appello di Napoli (presidente Sensale, relatore Marinaro) nella sentenza 4272/2019, pubblicata il 2 settembre 2019.

Il caso
La causa è stata promossa da un artigiano per ottenere il pagamento di quasi ottomila euro, pari al compenso reclamato per lavori di falegnameria eseguiti presso l’abitazione dei committenti. Nel primo grado del giudizio, il tribunale aveva condannato i convenuti al pagamento di soli duemila euro. L’attore ha allora presentato appello, sostenendo che il giudice non poteva fondare la propria decisione su una testimonianza assunta in violazione degli articoli 2721 e 2726 del Codice civile, in base ai quali la prova per testimoni diretta a dimostrare un pagamento non è ammessa quando il valore del versamento ecceda 2,58 euro (le cinquemila lire del testo originario del Codice). In ogni caso, il testimone aveva riferito di aver assistito a versamenti per complessivi tre milioni di lire, sicché residuava, comunque, un credito superiore a quello riconosciuto dal tribunale.

La sentenza
Nel decidere la Corte osserva, innanzitutto, che i limiti alla prova testimoniale, previsti dagli articoli 2721 e seguenti del Codice civile, «non attengono a ragioni di ordine pubblico», ma sono dettati a tutela di interessi di natura privatistica. Inoltre, sebbene il secondo comma dell’articolo 2721 consenta all’autorità giudiziaria di ammettere la prova oltre il limite di 2,58 euro («tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza»), comunque la deroga «è subordinata - prosegue la Corte, richiamando la sentenza 5884/1993 della Cassazione - a una concreta valutazione delle ragioni in base alle quali, nonostante l’esigenza di prudenza e di cautela che normalmente richiedono gli impegni relativi a notevoli esborsi di denaro, la parte non abbia curato di predisporre una documentazione scritta».

Nel caso in discussione ricorrono, secondo i giudici d'appello di Napoli, «proprio quei presupposti che giustificano la deroga al divieto» in esame: infatti, «sussistendo rapporti di parentela» tra l’appellante/artigiano (zio) e l’appellata/committente (nipote), può dunque «ritenersi plausibile anche il versamento di acconti in moneta contante senza la richiesta del rilascio immediato di una quietanza scritta». Con l’ulteriore conseguenza che è ammissibile la testimonianza resa in primo grado da altro artigiano, presente sui luoghi perché impegnato a tinteggiare le pareti dell’appartamento dei coniugi appellati.

Tuttavia, il tribunale non aveva correttamente interpretato la deposizione del teste, il quale aveva dichiarato di aver assistito «al pagamento», in due soluzioni, di tre milioni di lire in contanti. Secondo la Corte, infatti, il teste aveva inteso riferirsi al versamento dell’importo complessivo di tre milioni di lire (e non del doppio), avendo parlato, al singolare, di un «pagamento».

Così i giudici di secondo grado, in parziale riforma della sentenza impugnata, hanno condannato gli appellati al pagamento di seimila euro, pari alla differenza tra l’importo dovuto e quello già corrisposto.

Corte d'appello di Napoli, sentenza 4272 del 2 settembre 2019

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