Lavoro

Per tutelare i propri diritti è possibile registrare le conversazioni dei colleghi di lavoro

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 28398/2022

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di Pietro Alessio Palumbo

La Corte di Cassazione con la recente sentenza 28398/2022 nel valutare se la condotta di registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi presenti, all'insaputa dei conversanti, possa integrare una grave violazione del diritto alla riservatezza, ha evidenziato che la disciplina contenuta nel Codice in materia di protezione dei dati personali permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto. Ciò a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Da ciò deriva che l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale dei diritti dall'altra; e pertanto di contemperare la disciplina sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.

Il caso esaminato
Nella vicenda, la Corte territoriale mediante ampi rinvii all'ordinanza e alla sentenza emesse nel giudizio di primo grado, aveva rilevato come gli addebiti contestati al dipendente fossero privi di riscontro e, comunque, relativi a condotte di inefficienza o negligenza, conosciute e tollerate da parte datoriale ed anzi conformi alla prassi aziendale praticata fin da epoca anteriore all'inizio del rapporto di lavoro. Per la Corte tali addebiti non avevano carattere di gravità e non giustificavano l'irrogazione della sanzione espulsiva, essendo al più sanzionabili con una misura conservativa, secondo le previsioni del contratto collettivo. Tuttavia secondo la Corte il carattere ritorsivo del licenziamento non poteva considerarsi provato sulla base delle deposizioni testimoniali raccolte, né attraverso le "abusive, illegittimamente captate e registrate conversazioni", considerate dai giudici di appello non idonee a costituire fonte di prova.

Registrazioni e fonti di prove
Di norma la registrazione di conversazioni tra presenti all'insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza. In particolare la registrazione su supporto magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova ai sensi della disciplina civilistica in ordine alle riproduzioni meccaniche, se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa. Il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, e deve concretizzarsi nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta.

I contorni del diritto di difesa
Ebbene la Suprema Corte ha chiarito che il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale; a ben vedere estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. E non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa garantito dalla nostra Costituzione sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento. Si tratta evidentemente di profili estremamente delicati, che esigono un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall'altra. Ne deriva che il giudizio si deve fondare su una valutazione rigorosa del requisito di pertinenza, nella prospettiva di una diretta e necessaria strumentalità, della registrazione all'apprestamento della finalità difensiva all'interno di una scrupolosa contestualizzazione della vicenda.
Può trarsi la conseguenza che la condotta di registrazione di una conversazione tra presenti, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa, coperta dall'efficacia scriminante dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un dovere previsti in sede penale ma di portata generale nell'ordinamento, non può di per sé neppure integrare illecito disciplinare; esigendosi un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di diritti importantissimi.
Su queste coordinate secondo la Corte di Cassazione può quindi affermarsi che la registrazione di una conversazione tra presenti - entro congrui limiti e condizioni - può costituire fonte di prova. In altre parole l'utilizzo di registrazioni clandestine di colloqui tra colleghi non sempre necessita di consenso. Ciò in ragione della necessità di ponderare privacy e condizioni lavorative.

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