Famiglia

Per le unioni civili divorzio con corsia «preferenziale»

La legge sulle unioni civili, non si occupa di filiazione, perché il tema era troppo divisivo per essere inserito nella legge

a cura diAndrea Gragnani

Con la legge 76/2016, nota come legge Cirinnà, è stata introdotta nel nostro ordinamento l’unione civile tra persone dello stesso sesso e sono stati disciplinati alcuni diritti derivanti dalle convivenze di fatto, che riguardano, a differenza delle prime, anche le persone di sesso diverso.

La legge è composta di un solo articolo e sessantanove commi, di cui, a parte il primo articolo di carattere generale, gli articoli da 2 a 35 sono dedicati alle unioni civili e quelli da 36 a 69 alle convivenze di fatto.

Pare evidente che la parte dedicata alle unioni civili ha a tutti gli effetti introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ancorché con un nome diverso, prova ne sia il fatto che la legge, anziché disciplinare specificamente tali unioni con norme nuove e specifiche, fa per lo più massicci riferimenti e richiami alla normativa del codice civile sul matrimonio, ovviamente con i necessari adattamenti dovuti al fatto che gli uniti sono persone dello stesso sesso, fatte salve sporadiche norme su alcune questioni specifiche comunque redatte sulla falsariga di quelle sul matrimonio.

Le unioni civili possono essere effettuate solo da persone maggiorenni e dello stesso sesso. La seconda precisazione può sembrare una banalità, ma lo scopo è quello di tenere le due istituzioni giuridiche nettamente separate. Quindi le coppie eterosessuali non hanno accesso alle unioni civili e per unirsi possono solo ricorrere al matrimonio, e viceversa. L’unione si costituisce mediante una dichiarazione all’ufficiale dello stato civile, di fronte a due testimoni, analogamente al matrimonio civile.

Quanto agli effetti, pertanto, le unioni civili comportano le stesse tutele del matrimonio quanto al mantenimento reciproco, anche in caso di scioglimento, al regime patrimoniale della coppia, ai diritti successori e al diritto a riscuotere il Tfr in caso di morte di uno dei due uniti e a quello di ricevere la pensione di reversibilità.

Una differenza sostanziale rispetto al matrimonio si ha per quanto concerne lo scioglimento, perché gli uniti civilmente hanno accesso diretto al divorzio, mentre i coniugi (salvo eccezioni che riguardano casi estremi talmente rari che non è il caso di menzionare: uno per tutti, è il cambio di sesso di uno dei coniugi) devono prima ottenere la separazione. La legge richiama espressamente la legge sul divorzio (898/ 1970 e successive modifiche) e prevede che lo scioglimento può essere chiesto congiuntamente se gli uniti hanno entrambi dichiarato all’ufficiale di stato civile la loro volontà in tal senso, nel qual caso l’iter è lo stesso del divorzio congiunto, oppure singolarmente, se solo uno dei due uniti ha effettuato la dichiarazione, nel qual caso tra la dichiarazione e la domanda devono decorrere almeno tre mesi e l’iter del giudizio è quello del divorzio contenzioso.

La legge sulle unioni civili, non si occupa di filiazione, perché il tema era troppo divisivo per essere inserito nella legge, pena la mancata approvazione.

A febbraio del 2017 sono poi entrati in vigore i decreti attuativi della legge con cui sono stati risolti alcuni problemi lasciati in sospeso e il terzo di questi decreti ha risolto definitivamente una questione che sino ad allora era stata lungamente dibattuta senza trovare una soluzione confortante, vale a dire la trascrizione in Italia di un matrimonio celebrato all’estero tra due italiani dello stesso sesso. La nuova normativa, infatti, integrando la nostra legge di diritto internazionale privato (n. 218 del 1995), prevede adesso che «Il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana». Il legislatore ha quindi chiarito che il matrimonio all’estero di due italiani aventi lo stesso sesso non entra nell’ordinamento come matrimonio, bensì come unione civile.

Sino ad allora la Cassazione ( sentenze n. 4184/2012 e n. 8907 /2015) aveva sempre negato l’ingresso nell’ordinamento, ai fini della trascrizione nei registri di stato civile, del matrimonio omosessuale contratto all’estero da due italiani, sulla base del principio, giuridicamente ineccepibile, che due italiani che si sposino all’estero sono considerati sposati non già sulla base della legge dello stato di celebrazione del matrimonio, ma sulla base della legge italiana. Il che, non essendoci in Italia una legge sul matrimonio omosessuale (ovvero non essendo riconosciuto come matrimonio dalla legge italiana quello tra persone dello stesso sesso), non consentiva che si potesse estenderne gli effetti al matrimonio tra persone dello stesso sesso formatosi all’estero. All’epoca, poco prima della entrata in vigore del terzo decreto sopra menzionato, si era fatto un gran parlare di una sentenza della Cassazione (n. 2487 /2017) secondo la quale tale principio sarebbe stato superato, ma si era trattato di una notizia infondata. Il caso riguardava due cittadine francesi (di cui una anche cittadina italiana), rispetto alle quali la Corte di Appello di Napoli aveva stabilito che il loro matrimonio francese poteva essere trascritto in Italia in quanto perfettamente valido nel loro paese. Si trattava quindi di una situazione completamente diversa da quella di due coniugi italiani dello stesso sesso, perché alle due cittadine francesi si applicava la legge sul matrimonio del loro paese, il che consentiva la trascrivibilità dell’atto anche in Italia.

La Cassazione non si era espressa nel merito in quanto aveva rigettato il ricorso per ragioni procedurali. Scorrettamente pertanto all’epoca era stata diffusa la notizia secondo cui la Cassazione avrebbe mutato indirizzo. In ogni caso la questione è stata chiusa grazie alla nuova normativa secondo cui il matrimonio estero tra due persone dello stesso sesso entra in Italia come unione civile.

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