Società

Pluralità di giudizi, tra società di persone e soci, e diversità degli esiti

Nota a Ordinanza, Corte di Cassazione n. 8211 del 2022

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di Maurizio Conti*

Con l'ordinanza 8211-2022 la Corte di Cassazione ha esaminato l'opponibilità al socio, da parte dell'Agenzia delle Entrate, del giudicato favorevole, dalla stessa ottenuto, nel giudizio promosso dalla sola società di persone.

È noto che la Corte ha da tempo ritenuto che al giudizio di impugnazione dell'accertamento emesso nei confronti di una società di persone devono partecipare tutti i soggetti, con la conseguenza che, ove il ricorso non sia stato proposto dalla società e da tutti i soci, deve ordinarsi l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 D. Lgs. 546 -1992.

Le parti chiamate non possono autonomamente impugnare l'atto se per esse è scaduto il termine (comma 6 dell'art. 14), ma potranno avvalersi del giudicato favorevole all'esito del giudizio, con il solo limite della non ripetibilità di quanto pagato.

Ove la società ed i soci abbiano promosso separati giudizi, essi devono essere riuniti.

Ai sensi dell'art. 5 TUIR e dell'art. 40 comma 2 DPR 600/1973 la tassazione dei soci di società di persone avviene per trasparenza ed il maggior reddito viene accertato con un unico atto. La società in quanto tale non è tassata ai fini dell'imposta sui redditi, è fiscalmente il veicolo mediate il quale il reddito viene prodotto, dichiarato, e transita (direttamente ed indipendentemente dalla percezione) ai soci.

La società però è la titolare dei doveri ed oneri per la determinazione del reddito ed è evidente che, in caso di accertamento, l'esistenza di un maggio reddito "societario" sia il presupposto perché esso sia imputato ai soci.

E' in quest'ottica che è stato introdotto il principio del contraddittorio necessario della società e di tutti i soci nell'impugnazione dell'accertamento (Cass. Sez. Un. 14815-2008).

Principio condivisibile ed in linea con la modalità di determinazione del reddito previste dal TUIR, nonché rispettoso del principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost.): se il reddito è direttamente imputato ai soci, l'accertamento e l'esito giudiziale della sua impugnazione deve valere per tutti in maniera uguale (rectius in proporzione alla quota di partecipazione societaria).

Il problema affrontato da Cass. 8211-2022 riguardava un caso di pluralità di giudizi tra società e socio, in cui era mancata la riunione. Quello promosso dalla società si era concluso in primo grado con sentenza favorevole all'AE non impugnata, mentre il giudizio promosso dal socio si era concluso favorevolmente ad esso, sia in primo che in secondo grado. Impugnando la sentenza della CTR per cassazione, l'AE aveva svolto un motivo di violazione dell'art. 2909 c.c. che prevede che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato faccia stato.

La Corte sul punto ha ritenuto l'eccezione inammissibile ed infondata.

Innanzitutto e preliminarmente, però, la Corte ha esaminato la conseguenza della mancata partecipazione di tutti i soci al medesimo giudizio ed ha ritenuto che nella causa in questione, ciò non potesse importare la rimessione del giudizio in primo grado, in quanto il contribuente, vittorioso in entrambi i gradi di merito, non avrebbe potuto ottenere un vantaggio dalla rimessione di quella causa in primo grado e dalla chiamata in essa della società nei cui confronti si era già formato un giudicato sfavorevole; quindi, per il socio, non vi era stata alcuna violazione del principio del giusto processo (art. 111 Cost.). La Corte ha ritenuto l'eccezione di giudicato inammissibile in quanto formulata per la prima volta nella fase di cassazione, mentre sarebbe stato possibile farlo in grado di appello: è solo il giudicato formatosi successivamente al termine utile per eccepirlo nel grado di appello che può essere sollevato per la prima volta davanti alla Cassazione.

Nonostante l'inammissibilità del motivo, la Cassazione ha precisato che esso sarebbe stato comunque infondato e nel motivare il perché ha compiuto un excursus delle situazioni processuali e sostanziali che possono verificarsi ove gli esisti dei giudizi siano differenti.

Tutto questo, precisa la Corte, ha la funzione di rimedio alla disfunzione che si è venuta a creare dalla mancata partecipazione di tutti i soggetti ad un giudizio che doveva essere unitario. Ove (ed è una disfunzione) non lo sia stato, la regola è che tra i giudizi ed i loro esiti vi sia una pregiudizialità da giudicato secundum eventum litis, in applicazione dei principi di cui agli articoli 2909 e 1306 c.c. Secondo l'art. 2909 l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato "tra le parti, i loro eredi o aventi causa", quindi il socio che non era "parte" del giudizio che ha visto la società soccombente, non può subire alcun effetto negativo dalla sentenza che lo conclude. Se però l'esito del giudizio fosse stato favorevole, egli, ancorché non "parte" di esso, avrebbe potuto beneficiarne.

La Corte richiama l'art. 1306 c.c. ai sensi del quale il giudicato ottenuto contro altri debitori non può essere opposto al debitore estraneo al giudizio, ma può essere da lui invocato contro il creditore. In breve: il soggetto estraneo al giudizio in cui si è formato il giudicato non può subirne gli effetti negativi, ma può giovarsi degli effetti positivi.

La possibilità di avvalersi o meno del giudicato esterno secondo l'esito della causa è solo del contribuente, in quanto l'AE è sempre parte del processo tributario e quindi qualsiasi giudicato fa stato nei suoi confronti.Il socio può giovarsi nel "proprio" giudizio del giudicato favorevole ottenuto dalla società, con il limite tuttavia di non poter rimettere in discussione gli eventuali punti sui quali si è nel frattempo formato un giudicato nei propri confronti (Cass. 3306-2003).

E' appena il caso di osservare che tutto ciò non è un'applicazione diretta dell'art. 1306 c.c., il quale riguarda le obbligazioni solidali (pluralità di soggetti tutti tenuti per la medesima obbligazione), ma del principio sotteso alla disposizione. Tra società di persone e soci di essa, nonché tra gli stessi soci, non si è in presenza di un'obbligazione solidale, in quanto la prestazione non è la medesima. Ciò che è il medesimo è il presupposto, cioè il fatto che la società abbia avuto un (maggior) reddito e tale presupposto dà vita ad obbligazioni distinte e personali (l'obbligazione d'imposta di ognuno dei soci secondo la sua quota di partecipazione alla società).

Il risultato cui si arriva non è quindi dato dalla mera applicazione di norme civilistiche o processuali, ma un risultato interpretativo di tipo tributario. Esso deriva dall'interpretazione combinata degli articoli 2909 e 1306 c.c. con l'art. 5 TUIR e con l'art. 53 Cost., per ricavarne il principio che, se è accertato con effetto di giudicato che la società non ha avuto un maggior reddito, non può averlo avuto per trasparenza il socio. Se invece è accertato con effetto di giudicato che la società l'ha avuto, se il socio non ha partecipato al giudizio non può risentire gli effetti di tale sentenza ed il giudice che giudicherà della legittimità dell'avviso di accertamento notificato al socio dovrà, incidenter tantum, valutare la validità dell'accertamento in capo alla società, senza essere vincolato dalla precedente sentenza. In altre parole, vi è la prevalenza del dato tributario e del principio di capacità contributiva, che possono però cedere il passo all'applicazione di principi civilistici e processuali se più favorevoli al contribuente.

Peraltro, ha sottolineato la Corte, la non opponibilità del giudicato sfavorevole alla società non significa che nell'indagine (incidenter tantum) che il giudice deve fare al fine di determinare se sia fondato l'accertamento nei confronti del socio, tale sentenza sia tanquam non esset: egli dovrà esaminarla e dare conto in motivazione del perché ritiene di arrivare a conclusioni differenti o uguali, non potendo motivare la sentenza nei confronti del socio con un mero rinvio alla sentenza passata in giudicato nei confronti della società.

La Corte ha ricordato che anche la società soccombente può invocare il giudicato favorevole avuto dal socio, però sia che il giudicato sia invocato dalla società, sia che sia invocato dal socio, non deve basarsi su ragioni personali non estensibili, come la decadenza o un vizio di notifica. Soluzione che lascia qualche perplessità nel caso di decadenza dal potere di effettuare l'accertamento in capo alla società, poiché in tali casi si viene a creare una situazione di incontestabilità amministrativa del reddito dichiarato dalla società.

Dal punto di vista tributario sarebbe giusto ipotizzare che le due situazioni, di dichiarazione giudiziale di infondatezza dell'avviso di accertamento nei confronti della società, e di incontestabilità di quanto dichiarato dalla società per essere spirati i termini per l'accertamento, abbiano uguale forza e quindi in entrambi i casi sia precluso l'accertamento in capo al socio.

*a cura dell'Avv. Maurizio Conti, Partner 24ORE

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