Pnrr, giovani in fuga, tecnologie: la mappa delle sfide per gli studi
La decima edizione dell’Osservatorio del Politecnico di Milano sui professionisti: investimenti stabili nel 2022, solo i più grandi a fianco delle aziende per la digitalizzazione. Sei su dieci non hanno il sito
Sono due le grandi sfide che attendono gli studi professionali. La prima è la capacità di attrarre e trattenere i giovani in fuga dalle professioni, l’altra è di cogliere le opportunità del Pnrr, rafforzando il ruolo di supporto alle imprese nell’attuazione del Piano di ripresa e resilienza.
Lo evidenzia anche l’ultimo rapporto dell’Osservatorio professionisti e innovazione digitale del Politecnico di Milano che sarà presentato domani a Milano ma che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare.
A un primo sguardo, dall’alto, entrambe le sfide sembrano difficili da raggiungere: meno della metà degli studi italiani di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro ha un sito internet, la media degli investimenti in tecnologie per queste categorie resta sotto i 10mila euro annuali (eccezion fatta per le realtà multidisciplinari). Tra i piccoli, uno su quattro fronteggia un calo del 10% della redditività (35% per i microstudi). E tra tutti serpeggia il timore di non riuscire a trovare i giovani talenti per affrontare il passaggio generazionale.
Ma sotto questa superficie la realtà è molto più frastagliata e dinamica. «I grandi studi e quelli multidisciplinari hanno già imboccato la corsia di sorpasso», sintetizza Claudio Rorato, direttore scientifico e responsabile dell’Osservatorio (ai fini della ricerca si considerano grandi gli studi che hanno oltre 30 tra dipendenti e collaboratori, ndr). Il divario tra questi e le piccole e medie realtà (che però sono in maggioranza) è sempre più ampio: «I grandi hanno ormai interiorizzato la cultura digitale – prosegue Rorato –, vedono le nuove tecnologie come alleate e non come un costo e hanno avviato processi di cambiamento».
Processi che non intaccano ancora la maggioranza dei piccoli, i quali «faticano a intercettare il cambiamento, restano ancorati a una clientela di vicinato e possono investire poco sulle tecnologie», sintetizza il direttore. E visto il peso preponderante dei piccoli anche nel campione statistico del Polimi, basato su circa 4mila studi, si spiega la sostanziale staticità dei risultati medi.
Le tecnologie
Il 2022 è stato, sostanzialmente, un anno di attesa tanto che gli investimenti in nuove tecnologie sono rimasti stabili: +0,4% rispetto al 2021. Ma le realtà multidisciplinari hanno speso in media 25mila euro, mentre i legali solo 9mila.
Aggiunge la ricerca: «Destano preoccupazione soprattutto i microstudi – trasversali a tutte le categorie esaminate – che nel 63% dei casi non superano i 3mila euro di investimenti annui in tecnologia». Questo li espone alla fragilità perché «restano concentrati sui servizi tradizionali e generalisti, soggetti alla price competition, e il mercato li percepisce come indifferenziati». Sono migliori, per tutti, le prospettive per l’anno in corso, con una crescita del 7% delle previsioni di spesa. «In questi anni di pandemia, inflazione e shock energetico, gli studi hanno dovuto limitare le spese, anche perché hanno fatto da sostanziale “cassa” ai clienti, rinunciando a incassi puntuali», aggiunge Rorato. Ma a preoccupare è anche la scelta delle tecnologie su cui si investe, in gran parte guidata dagli obblighi di legge (fattura elettronica e conservazione digitale, ad esempio, come mostra anche la grafica in basso). Il Covid ha portato quasi ovunque le videoconferenze. Ma non il sito internet (in media nel 40% degli studi). Per non parlare di strumenti più evoluti come l’intelligenza artificiale e i chatbot, che restano di nicchia: nove studi su dieci non pensano di introdurli nemmeno in futuro. «In realtà, prima ancora dell’Ai, i professionisti dovrebbero sviluppare un progetto con l’enorme mole di dati che hanno da sempre a disposizione – osserva Rorato –, perché sono seduti su un tesoro e non lo sanno».
L’evoluzione
L’indagine del Politecnico compie quest’anno dieci anni. In questa prospettiva più ampia, la trasformazione si avverte. «Il cambiamento c’è stato ed è stato culturale», spiegano ancora dall’Osservatorio. Molti professionisti hanno acquisito consapevolezza dell’importanza delle tecnologie («ora sono un investimento e non più un costo»), sono sempre più vicini agli imprenditori per consigliarli nelle strategie e hanno capito l’importanza della formazione. «Sviluppare politiche commerciali per attrarre i clienti non è più un tabù», afferma Rorato.
Il Pnrr
I professionisti possono ora cogliere nuove opportunità dai fondi del Pnrr, che finanziano, tra l’altro, la digitalizzazione e la transizione ecologica anche dei loro principali clienti: le Pmi.
Per farlo, devono affiancare nelle scelte strategiche e gestionali gli imprenditori. Già oggi, secondo l’Osservatorio, il 27% delle Pmi si è rivolto a un professionista come primo referente per la digitalizzazione. Ma molto spazio di mercato resta inesplorato se si guarda al restante 73% di imprenditori che si è rivolto altrove.
I giovani
La ricerca indaga le cause di una “crisi di vocazione” dei giovani verso la professione dalla prospettiva dei professionisti-datori di lavoro: oltre alle retribuzioni non allettanti, pesano lo scarso equilibrio vita privata-lavoro e la mancanza di percorsi di carriera strutturati. Commenta Federico Iannella, ricercatore dell’Osservatorio: «Tutti sono consapevoli di poter offrire poco, dal punto di vista retributivo e non solo, ma è importante che il problema se lo stiano già ponendo».
L’appuntamento
La fotografia completa dello stato di salute degli studi professionali sarà presentata domani dall’Osservatorio in un convegno dal titolo: «Studi professionali, una nuova visione digitale per attrarre i giovani e far evolvere i clienti», che si svolgerà a partire dalle 9,30 al Politecnico di Milano, ma potrà essere seguito anche in streaming.