Lavoro

Politiche di inclusione lavorativa e vantaggio competitivo

E' discriminatoria la condotta del datore di lavoro che abbia rifiutato di adottare un accomodamento ragionevole con riferimento ad un lavoratore divenuto inabile allo svolgimento delle mansioni affidategli. La Legge quadro di riforma della disabilità e le Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità potranno contribuire ad alimentare un rinnovato interesse pratico all'adozione di accomodamenti ragionevoli, anche in vista dell'introduzione di appositi meccanismi premiali nell'ambito dei contratti pubblici.

di Luca Barbieri e Giorgio Ottaviano *

Con propria recente e articolata sentenza 9 marzo 2021, n. 6497, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di accomodamenti ragionevoli, offrendone nuovamente una lettura attenta, che colma la laconicità dell'art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, il quale solo indirettamente offre una definizione di accomodamento ragionevole, rinviando a quanto stabilito dall'art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dalla Legge 3 marzo 2009, n. 18.

La Suprema Corte ha giudicato discriminatoria la condotta del datore di lavoro che abbia rifiutato di adottare un accomodamento ragionevole con riferimento ad un lavoratore divenuto inabile allo svolgimento delle mansioni affidategli a seguito di un infortunio o di una malattia, confermando la sentenza del giudice di merito che ha disposto la reintegrazione del lavoratore con disabilità ai sensi dell'art. 18, c. 4 della Legge 20 maggio 1970, n 300.

L'art. 4, c. 4 della Legge 12 marzo 1999, n. 68 prevede infatti che tale sopravvenuta inabilità non costituisce giustificato motivo di licenziamento quando il lavoratore interessato possa essere adibito a mansioni equivalenti o, in mancanza, a mansioni inferiori. Trattasi dell'obbligo di repêchage, con riguardo al quale il richiamato arresto giurisprudenziale precisa che ‘evidentemente l'impossibilità di ricollocare il disabile, adibendolo a diverse mansioni comunque compatibili con il suo stato di salute, non esaurisce gli obblighi del datore di lavoro che intenda licenziarlo, perché, laddove ricorrano i presupposti di applicabilità dell'art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. n. 216 del 2003, dovrà comunque ricercare possibili accomodamenti ragionevoli che consentano il mantenimento del posto di lavoro, in un'ottica di ottimizzazione delle tutele giustificata dall'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2 della Costituzione), tanto più pregnanti in caso di sostegno a chi versa in condizioni di svantaggio'.

Fermo restando che il convincimento del giudice è formato alla luce di una soppesata valutazione dei distinti interessi del lavoratore al mantenimento di un lavoro e del datore di lavoro a ricevere una prestazione lavorativa che sia utile per l'impresa del giudice, nel caso di specie il datore di lavoro è tenuto a dimostrare non solo l'impossibilità di repêchage del lavoratore fisicamente inidoneo, ma anche che la sua alternativa destinazione avrebbe imposto un onere sproporzionato o comunque eccessivo, anche (eventualmente) con riferimento alla formazione professionale.

Il datore di lavoro è pertanto tenuto a portare in evidenza atti od operazioni che abbia svolto per valutare l'adozione di un accomodamento ragionevole o di una soluzione organizzativa volti ad evitare il recesso; diversamente, il licenziamento intimato non può che essere dichiarato illegittimo.

Per quanto concerne la definizione di accomodamento ragionevole, è però all'art. 5 della Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 che deve essere ricondotto il più risalente recepimento del citato art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite: ‘per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei lavoratori con disabilità, (…) il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili'.

Trattasi di una disposizione di cruciale importanza, alla quale dovrebbe essere restituito il rilievo che l'ordinamento stesso le attribuisce, specie quando si considerino gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals o SDGs) dell'Agenda 2030 e che l'ordinamento domestico ha incorporato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), istituendo la missione 5.

In tema di avviamento al lavoro, l'art. 9, c. 6-bis della Legge 12 marzo 1999, n. 68 già prevede l'istituzione di una Banca dati del collocamento mirato nella quale dovrebbero essere raccolte anche le informazioni concernenti gli accomodamenti ragionevoli adottati dai datori di lavoro, sia pubblici che privati.

In tal senso, è chiara la prescrizione del secondo periodo della testé citata disposizione che obbliga il datore di lavoro a trasmettere alla suddetta Banca dati il prospetto informativo, indicando altresì gli accomodamenti ragionevoli adottati.

Eppure trattasi di una norma di fatto disapplicata, dal momento che il modello di prospetto informativo in uso non contempla alcun espresso riferimento agli accomodamenti ragionevoli, né potrebbe il datore di lavoro dedurvi alcun dato in merito, dato l'attuale assetto grafico del prospetto stesso.

Al fine di poter disporre di una Banca dati efficiente, a nulla possono peraltro rilevare le informazioni che il datore di lavoro è tenuto a fornire nella sezione ‘Accessibilità all'azienda' della Scheda aziendale per la rilevazione delle mansioni disponibili per le persone disabili, nella quale potrebbe essere senz'altro utile sin d'ora specificare se la mansione è possibile sia svolta in regime di ‘lavoro agile', soluzione organizzativa qualificata espressamente come accomodamento ragionevole dalle Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità (par. 7.4).

Riportate in allegato al recente D.M. 11 marzo 2022, n. 43 - a sua volta adottato con ampio ritardo in forza del disposto di cui all'art. 1, c. 1 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 -, si confida che proprio tali Linee guida possano contribuire ad alimentare un rinnovato interesse pratico all'adozione di accomodamenti ragionevoli, affinché questi rivestano nell'ambito delle politiche e strategie d'inclusione organizzativa dei lavoratori con disabilità il rilievo che effettivamente loro compete.

In materia di disabilità, un'ulteriore accelerazione per la definizione di un quadro giuridico più preciso è certamente impressa dalla Legge 22 dicembre 2021, n. 227, per effetto della quale il legislatore delegato è chiamato a coordinare le disposizioni legislative vigenti, apportando modifiche che :

i) assicurino coerenza giuridica, logica e sistematica all'impianto normativo e

ii) adeguino il linguaggio normativo

a) la Legge 5 febbraio 1992, n. 104 contempli una definizione di ‘accomodamento ragionevole' (art. 2, c. 2, lett. a), numero 5));

b) il progetto di vita individuale del soggetto con disabilità sia partecipato e fondato su una valutazione multidimensionale che, elaborata con un approccio multidisciplinare, individui sostegni e accomodamenti ragionevoli volti a garantire l'effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali (art. 2, c. 2, lett. c), numero 10));

c) sia prevista la nomina da parte del datore di lavoro pubblico di un responsabile del processo di inserimento nell'ambiente di lavoro di lavoratori con disabilità, anche al fine di garantire l'adozione degli opportuni accomodamenti ragionevoli (art. 2, c. 2, lett. e), numero 5)).

Per quanto concerne l'obbligo di nomina del responsabile di cui alla precedente lettera c), è opportuno precisare che l'art. 47, c. 5 del D.L. 31 maggio 2021, n. 77 già prevede che all'operatore economico che partecipa ad un bando di gara per l'aggiudicazione di un contratto con la pubblica Amministrazione per l'esecuzione del quale si attinge alle risorse del PNRR (o del PNC) possa essere attribuito un punteggio aggiuntivo nel caso in cui abbia nominato un ‘disability manager' (al proposito, si rinvia al paragrafo 9. delle Linee guida volte a favorire le pari opportunità di genere e generazionali, nonché l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità riportate in allegato al D.P.C.M. 7 dicembre 2021).

È peraltro imminente l'estensione di tali meccanismi premiali alla generalità dei contratti pubblici, sì che le politiche d'inclusione organizzativa rivestiranno a breve (anche) la funzione spiccata di elemento competitivo tra gli operatori economici.

*di Luca Barbieri e Giorgio Ottaviano di di ArlatiGhislandi

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