Civile

Poteri del Garante limitati può far «deindicizzare» ma non cancellare notizie

di Alessandro Galimberti

Il Garante della privacy ha il potere di decidere nei confronti di un motore di ricerca con sede all’estero e può disporre la deindicizzazione di un contenuto; tuttavia l’Authority non può ordinare la cancellazione di un’informazione suscettibile di interesse pubblico.

Con la sentenza 3952/22 della Prima civile, depositata ieri, la Cassazione torna sul tema sempre attuale del bilanciamento dei diritti nel mare confuso di memoria collettiva-permanente-attuale della Rete: da un lato la riservatezza delle persone - e il correlato diritto a non essere profilati in tempo reale pubblicamente e permanentemente - dall’altro il cardine democratico della libertà di informare e il diritto della collettività a essere edotta sui fatti rilevanti della vita pubblica.

Ancora una volta il caso prende le mosse da una notizia di cronaca giudiziaria - il processo per una bancarotta da 100 milioni di euro collegata a un fallimento dichiarato nel 2005 - e la richiesta di uno dei protagonisti a Yahoo! Italia nel 2015 di rimozione dei risultati di ricerca, pochi mesi dopo la pronuncia della sentenza di merito. A fronte del (parziale) diniego della società, che opponeva di non essere titolare del trattamento (effettuato in Irlanda, sede europea), il ricorrente si rivolgeva al Garante, che disponeva la deindicizzazione e anche la rimozione della copia cache; decisione, questa, confermata dal Tribunale di Milano davanti a cui Yahoo! Italia aveva impugnato il verdetto amministrativo.

La Prima sezione di legittimità è stata quindi chiamata a decidere (ripercorrere) su una serie di questioni relative a competenza, giurisdizione e poteri di supremazia dell’Authority in un ambito dove la privacy confina con diritti equipollenti. Il Garante, titolare di un procedimento amministrativo (quindi non giurisdizionale), spiega il relatore, ha poteri impositivi su una subsidiary perchè a questi fini rileva non tanto la sede legale (estera) e neppure l’eventuale stabile organizzazione, ma il fatto che l’attività economica svolta in Italia (raccolta pubblicitaria) sia strettamente e inscindibilmente collegata a quella di archiviazione e proposizione di informazioni, caratteristica del motore di ricerca (in questo senso richiamando la celebre sentenza-madre della Cedu, “Google Spain”, datata 2014 e successive).

Fermo questo principio, l’Authority deve però limitarsi alla protezione immediata del diritto individuale all’oblio, senza poter intervenire sulla cancellazione definitiva del contenuto contestato, a meno di una ponderazione più profonda e che probabilmente esige una terzietà giurisdizionale.

Quindi via libera alla deindicizzazione mirata - circoscrivendo così quel tipo di ricerca che inserendo un nome e cognome gli costruisce attorno in un microsecondo tutta la vicenda umana del protagonista - ma limiti ferrei, invece, per la distruzione della copia cache, che di fatto renderebbe impossibile, o quantomeno molto più difficile, il ripescaggio della notizia anche attraverso chiavi di ricerca dinamiche. Il senso della differenza? Le notizie rilevanti, come generalmente sono sempre quelle di cronaca giudiziaria, non è opportuno che vengano rimosse o oscurate alla memoria collettiva, mentre è ragionevole che le singole posizioni ivi coinvolte vengano”sfumate” con il passare del tempo. La differenza, in sostanza, è tra la memoria storica collettiva, inviolabile, e lo stigma istantaneo sulla persona, sport dell’era social.

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