Lavoro

Previdenza complementare, l'insinuazione al passivo spetta al lavoratore

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 16116 depositata oggi, con riferimento al fallimento del datore di lavoro per le quote di Tfr maturate e accantonate ma non versate al Fondo

di Francesco Machina Grifeo

A chi spetta la legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo fallimentare del datore di lavoro per le quote del Tfr conferito al Fondo di previdenza complementare (maturate e accantonate ma) non versate dal datore di lavoro medesimo? Al dipendente o al Fondo? La Corte di cassazione, sentenza n. 16116 depositata oggi, ha affrontato la complessa questione ispirandosi al principio del "favor lavoratoris"; ed al termine di una lunga ricostruzione normativa e giurisprudenziale ha accolto il ricorso di un dipendente contro il decreto del Giudice delegato al Fallimento che lo aveva escluso dallo stato passivo per il credito di 14.218,725 euro a titolo di Tfr ( che era stato "solo in parte versato" al Fondo complementare Allianz Bank) per difetto di legittimazione attiva.

Il lavoratore ha proposto ricorso negando che con l'adesione al Fondo egli avrebbe «operato una cessione del proprio credito per il TFR maturando», poiché in realtà «lo strumento giuridico prescelto dal lavoratore per il conferimento del Fondo era da intendersi… quale delegazione di pagamento». Il Tribunale di Siracusa però gli ha dato torto. Proposto ricorso in Cassazione, la Prima sezione civile ha riconosciuto le sue ragioni.

Per la Suprema corte infatti l'utilizzo (nell'articolo 8, Dlgs n. 252 del 2005) di un'espressione atecnica e omnicomprensiva, quale "conferimento", può essere letto come elemento sintomatico della volontà del legislatore di favorire l'autonomia privata nell'ambito della previdenza complementare (rispetto a quella obbligatoria), consentendo la libera selezione dello specifico strumento negoziale tramite cui effettuare il finanziamento del Fondo previdenziale, il quale può quindi estrinsecarsi non solo in una delegazione di pagamento (con mandato del lavoratore al proprio datore di lavoro di versare le quote di TFR al Fondo), ma anche in una cessione al Fondo del credito futuro per quote di TFR.

Di qui la necessità, prosegue la Cassazione, di ricostruire la volontà delle parti, accertando, in particolare, se il conferimento del TFR sottenda una delegazione di pagamento (articolo 1268 cod. civ.) ovvero la cessione di un credito futuro (articolo 1260 cod. civ.). Tale qualificazione, infatti, incide sulla titolarità del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa, come di recente osservato anche dal Giudice delle Leggi, tenuto conto della mancata attuazione delle previsioni della legge-delega «in ordine alla contitolarità, in capo ai fondi pensione e agli iscritti, del diritto alla contribuzione e del diritto al TFR (art. 1, comma 2, lettera e), numero 8, della legge n. 243 del 2004)» (Corte cost. 15 luglio 2021, n. 154).

Del resto, argomenta ancora la Cassazione, il contesto normativo di riferimento, e in particolare l'articolo 5, Dlgs 80/1992 (si vede anche la circolare Inps n. 23/2008), lascia presumere che il "conferimento" in parola mantenga ferma la legittimazione attiva del lavoratore, dovendosi perciò in linea di principio interpretare (anche in ragione del favor lavoratoris) come mera delegazione di pagamento – destinata a sciogliersi con il fallimento, a norma dell'articolo 78, comma 2, legge fall. – salvo che dai documenti prodotti dalle parti a supporto, rispettivamente, della domanda e della eventuale eccezione di difetto di legittimazione attiva, o comunque dall'istruttoria svolta, emerga che si sia trattato di una vera e propria cessione di credito, con conseguente trasferimento del relativo diritto al Fondo complementare, da cui consegue la legittimazione attiva di quest'ultimo.

La Prima sezione ha dunque affermato il seguente principio di diritto: "In tema di previdenza complementare, il generico riferimento, contenuto nell'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 252 del 2005, al "conferimento" del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilità che le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento, pongano in essere non già una delegazione di pagamento (art. 1268 cod. civ.) bensì una cessione di credito futuro (art. 1260 cod. civ.)". "In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di TFR maturate e accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell'art. 93 legge fall." .

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