Prima casa salva se «assegnata» con sentenza di divorzio
L’agevolazione prima casa, ai fini dell’imposta di registro sull’acquisto di un secondo immobile, non viene persa quando il primo bene, acquistato in comunione di beni con l’ex coniuge, sia stato a quest’ultimo assegnato a seguito di sentenza di divorzio.
Lo afferma la Ctp Reggio Emilia nella sentenza 18/2/2019 (presidente e relatore Montanari).
La questione
Nel caso in esame il contribuente era stato dichiarato decaduto dal beneficio del pagamento dell’imposta di registro in forma agevolata per l’acquisto di una abitazione principale, essendo questi già titolare pro quota del diritto di proprietà di altro immobile. In realtà, il primo immobile era stato acquistato dal ricorrente in regime di comunione di beni con l’ex moglie e a quest’ultima assegnato con sentenza di divorzio affinchè continuasse ad abitarvi con le figlie. In tal caso, afferma il collegio, richiamando un precedente giurisprudenziale della Cassazione (ordinanza 22490/2014), il primo immobile, per effetto della pronuncia di divorzio, non può considerarsi come abitazione principale, non essendo più idoneo a soddisfare le esigenze abitative del coniuge divorziato, dal momento che la decisione emessa in sede di divorzio ha previsto l’espressa pattuizione di cedere l’uso dell’abitazione all’altro coniuge separato.
Ritorna così il giudice di merito a escludere la decadenza del beneficio prima casa a seguito di sentenza di divorzio che abbia previsto quale condizione essenziale l’assegnazione dell’abitazione a uno degli ex coniugi (si veda l’articolo sulla Ctp Ravenna 115/1/2018). Come è noto, la ratio della norma che prevede la decadenza dai benefici prima casa è quella di impedire manovre speculative. Tuttavia, l’assegnazione dell’immobile a uno dei coniugi, prevista quale condizione essenziale della separazione, comporta ai fini fiscali la «perdita della titolarità dell'immobile», che viene ora utilizzato per una migliore sistemazione dei coniugi separati.
La sentenza
Secondo il collegio di giudici, infatti, ai fini fiscali, l’acquisto di un immobile in regime di comunione legale deve essere equiparato alla contitolarità indivisa dei diritti sui beni tra soggetti tra loro estranei. Ne consegue, quindi, che la perdita del diritto d’uso del bene in comunione da parte di uno dei coniugi per effetto di una sentenza di divorzio, non consente più di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comproprietari, venendo meno la comunione. Pertanto, la titolarità della quota non integra più un diritto reale, trasformandosi per effetto della separazione in un diritto personale di godimento, di natura atipica, per l’ex coniuge assegnatario dell’immobile e in un bene inidoneo a soddisfare le esigenze abitative per il coniuge separato, escluso dall’assegnazione.
In conclusione, quindi, l’ex coniuge non assegnatario dell’abitazione preposseduta (in comunione) può acquistare un nuovo immobile con l’agevolazione in oggetto.
La sentenza in esame è conforme ad un consolidato orientamento di legittimità, ribadito ultimamente dai giudici di merito, che ha affermato in diversi ipotesi il principio della non decadenza dal beneficio fiscale per attribuzione della casa coniugale ad uno dei coniugi separati in esecuzione di una sentenza di divorzio (si vedano le sentenze di Cassazione 23225/2015, 5156/2016 e 22023/2017).