Privacy, comunicare a terzi i dati necessari per un interesse legittimo non è un obbligo Ue
Uno Stato Ue può anche non prevedere che siano comunicati al danneggiato i
È stata la Corte suprema lettone, sezione del contenzioso amministrativo, a rivolgersi agli eurogiudici. Una società di filobus urbani aveva subito un danno perché un passeggero di un taxi, aprendo la portiera, aveva causato un incidente. La compagnia di taxi si era opposta a ogni richiesta di risarcimento ritenendo responsabile il passeggero. Di conseguenza, la società di filobus aveva chiesto alla polizia municipale di avere informazioni sul cliente, ma aveva avuto una risposta parziale, senza l’indicazione del numero del documento di identità e del domicilio. La Corte lettone, prima di decidere, ha chiesto alla Corte Ue di chiarire se la direttiva 95/46 (recepita in Italia con Dlgs 196/2003) sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al
Nodo della questione è l’articolo 7 della direttiva (che sarà sostituita dal 25 maggio 2018 dal regolamento n. 2016/679), in base al quale gli Stati possono prevedere la comunicazione dei dati, tra l’altro, nei casi in cui sia necessario per il perseguimento di un interesse legittimo del responsabile del trattamento o di un terzo. A patto, però, che non siano compromessi i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata.
In ogni caso – chiariscono gli eurogiudici – l’articolo 7 non prescrive un obbligo di comunicazione dei dati a un terzo, ma prevede unicamente che lo Stato si avvalga della possibilità - nell’ambito del margine di discrezionalità attribuito dalla direttiva - di prevedere un simile obbligo. Che deve comunque sottostare a tre condizioni cumulative: un interesse legittimo del responsabile del trattamento o di terzi, la necessità dello stesso trattamento e la non prevalenza su diritti e libertà fondamentali della persona interessata.
Per la Corte Ue, è evidente che il terzo che vuole ottenere informazioni personali su una persona che ha danneggiato il suo mezzo persegue un fine legittimo.
Per quanto riguarda la seconda condizione, ossia la necessità del trattamento, la Corte Ue riconosce che le autorità nazionali avevano trasmesso unicamente l’indicazione del nominativo, rendendo così difficile un accertamento per l’esercizio dell’azione giudiziaria. Pertanto, secondo gli eurogiudici, era necessario anche indicare il numero del documento di identità e il domicilio.
Sul fronte dell’ultima condizione, ossia che non siano compromessi i diritti fondamentali della persona interessata dal trattamento, la Corte richiede una ponderazione “dei diritti e degli interessi contrapposti” che vanno valutati sul caso concreto.
Fermo restando che uno Stato può non prevedere un obbligo di comunicazione a un terzo per permettergli un’azione per risarcimento danni causati dalla persona interessata alla tutela dei dati.
Corte di giustizia Ue, sentenza 4 maggio 2017 nella causa C-13/16