Civile

Privacy, illegittima la sospensione della prescrizione introdotta dal Gdpr

Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza 260/2021

Illegittima la sospensione della prescrizione introdotta dalla riforma del codice privacy. La consulta con la sentenza n. 260 depositata oggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 5, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, recante «Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)».
La norma censurata prevedeva l'interruzione ex lege del termine di prescrizione, relativamente ai procedimenti sanzionatori - soggetti alla disciplina, antecedente alla riforma del 2018, del Codice in materia di protezione dei dati personali – che, alla data di applicazione del regolamento n. 679/2016/UE, siano stati avviati, ma non ancora definiti con l'adozione dell'ordinanza-ingiunzione.
L'interruzione automatica del termine, secondo i giudici della corte costituzionale rende di fatto irrilevante il tempo già trascorso fra la notifica della contestazione dell'illecito e l'entrata in vigore del Dlgs n. 101 del 2018. "E' evidente – si legge nella sentenza - che l'interruzione automatica del termine di prescrizione quinquennale, che già di per sé rende eccessivamente squilibrato il rapporto fra privato e pubblica amministrazione, si traduca in una intollerabile compressione delle ragioni di tutela del privato".- E ancora precisano i giudici costituzionali: "l'amministrazione può attivarsi per la riscossione delle somme dovute in base all'ordinanza-ingiunzione prodottasi ope legis, oppure, nell'ipotesi in cui il privato presenti nuove memorie difensive ai sensi dell'art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 101 del 2018, può emettere l'ordinanza-ingiunzione, anche oltre un quinquennio dall'unico atto che è stato notificato all'interessato: grazie all'interruzione, si sommano infatti altri cinque anni al tempo già trascorso dalla notifica della contestazione alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del 2018. Per converso, il privato, dopo aver rispettato il termine di trenta giorni per opporsi alla contestazione della sanzione amministrativa, può doversi difendere, sempre entro trenta giorni dalla notifica della cartella o dalla notifica dell'ordinanza-ingiunzione, a distanza di oltre cinque anni dalla notifica dell'atto con il quale gli era stata contestata la violazione. Nessun'altra comunicazione, infatti, è tenuta a effettuare l'amministrazione medio tempore, neppure con riferimento alle facoltà concesse ai privati dai primi commi dell'art. 18 e alle conseguenze derivanti a carico di coloro che non si avvalgano di tali facoltà". E quindi "lo scenario sopra delineato evidenzia una palese violazione del principio di ragionevolezza e del canone di proporzionalità".

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