Processi penali, in affanno soprattutto il tribunale monocratico
Il giudice unico è competente a decidere su un numero ampio di reati
Un grande impegno per la giustizia penale viene dal Tribunale monocratico. Di fronte al giudice unico si decide la maggior parte delle cause: la sua competenza comprende un numero assai ampio di reati, che possono arrivare fino a 10 anni di pena e riguardare tanto fatti bagatellari quanto delitti di rilevante offensività (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 giugno 2020).
È il principale metro di giudizio con cui il cittadino - accusato o vittima che sia - valuta se lo Stato riesce a dare una risposta adeguata alle sue aspettative di tutela; questo lo rende uno degli ambiti decisivi in cui verrà misurata la capacità delle istituzioni di saper sfruttare al meglio l’opportunità offerta dai 2,7 miliardi destinati alla riforma della giustizia dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Il rito monocratico, oggi, prevede una sola differenza rispetto a quello collegiale, ovvero la citazione diretta a giudizio per i reati puniti con pena inferiore a quattro anni, nonché per gli altri più gravi previsti dall’articolo 550 del Codice di procedura penale. Se ciò comporta minori carichi di lavoro per gli uffici dei giudici per le indagini preliminari, è altrettanto vero che la pressione sulle sezioni dibattimentali è significativa e cagiona gli endemici tempi morti che ampliano la durata del processo.
Per arginare il problema la proposta di riforma elaborata dal precedente Governo prevedeva l’introduzione di un’udienza filtro in cui un giudice, diverso da quello del processo, avrebbe dovuto esaminare gli atti e fare già una sostanziale prognosi di colpevolezza.
La proposta è stata da più parti criticata perché un epilogo negativo dell’udienza filtro rischierebbe di condizionare troppo il successivo giudizio; inoltre, l’impossibilità per il giudice dell’udienza filtro di partecipare al processo - cosa inevitabile, essendosi già pronunciato nel merito - produrrebbe un effetto paralizzante, soprattutto vista la geografia giudiziaria italiana, fatta in buona parte da tribunali di piccole o medie dimensioni.
Una novità che però gli emendamenti messi a punto dalla commissione voluta dalla ministra Marta Cartabia sembrano voler confermare.
Soluzione preferibile sarebbe, invece, quella di incentivare il giudizio abbreviato, ampliando il diritto della difesa a ottenere l’acquisizione delle prove a discarico secondo un criterio di rilevanza, che consentirebbe comunque di contenere i tempi. Si tratta di un buon punto di equilibrio per contemperare diritto di difesa ed efficienza, che potrebbe essere ulteriormente agevolato da un’incisiva opera di depenalizzazione dei reati minori di competenza del Tribunale monocratico a citazione diretta, accompagnata da una circoscritta amnistia che colpisca quei reati privi di reale allarme sociale e destinati comunque a non arrivare a sentenza di primo grado per la loro risalenza nel tempo.