Lavoro

Protocollo, obbligo di vaccino e smart working: una relazione complicata

Prima a marzo e poi il 24 aprile 2020, il Governo e le Parti sociali, con buona dose ingegneria contrattuale, hanno sottoscritto un articolato Protocollo per la garanzia sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, recepito, a distanza di due giorni in un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri

di Ciro Cafiero*


Il mondo del lavoro e' un laboratorio in cui problemi e soluzioni si sperimentano "in vitro".
E' da lì che sono arrivati i primi anticorpi al Covid. Misurazione della temperatura all'ingresso delle fabbriche e degli uffici, distanziamento, mascherine, dispositivi anti contagio, smart working, e via dicendo.

Prima a marzo e poi il 24 aprile 2020, il Governo e le Parti sociali, con buona dose ingegneria contrattuale, hanno sottoscritto un articolato Protocollo per la garanzia sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, recepito, a distanza di due giorni in un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Articolato perché, mentre in tempi normali, questa sicurezza era attentata da eventi, in linea di massima, straordinari e, come tali, prevedibili, come ad esempio l'esposizione ad un particolare agente biologico, all'indomani del Covid, essa è attentata da eventi ordinari e quindi, potenzialmente, imprevedibili.

Può essere sufficiente uno starnuto alla fila dei tornelli, un contatto ravvicinato alla mensa, ma anche una "gomitata", un cambio tuta in uno spogliatoio infetto e, con le nuove imperscrutabili varianti, altri semplici gesti.

E così, sono molteplici i comportamenti che il Protocollo ha dovuto considerare.
In questa situazione, si iscrive il dibattito sul se il datore di lavoro possa o meno obbligare i propri dipendenti a vaccinarsi contro il Covid. Posto, ma solo idealmente per la nota penuria di dosi, un approvvigionamento sufficiente ad evadere le richieste.

Molto e ‘stato detto a proposito. Le posizioni, in estrema sintesi, sono due e diametralmente opposte.

Da un lato, c'è chi si esprime a favore in considerazione del rischio aggravato in azienda determinato dal virus. I principali referenti giuridici sono l'art. 2087 del codice civile che impone al datore di lavoro di adottare ogni misura possibile a tutela della sicurezza aziendale, l'art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008 secondo cui "ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro", ma anche il successivo art. 279 secondo cui, su parere del medico competente, il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori vaccini efficaci contro gli agenti biologici (ma dipendenti da specifica attività di lavoro a differenza del Covid).

Le conseguenze, in caso di rifiuto del lavoratore al vaccino, secondo questa ricostruzione, possono essere diverse, dal demansionamento (ad esito del giudizio di idoneità del medico competente, come ricordato anche dal Garante alla Privacy il 17 febbraio 2021 nella sezione "Faq") sino al licenziamento per impossibilità di ricollocare il lavoratore non vaccinato in azienda, anche con mansioni diverse.

Contro questa posizione, milita, tuttavia, il principio di autodeterminazione ai trattamenti sanitari, tra cui la vaccinazione, consacrato dal comma 2 dell'art. 32 della Costituzione.

Dall'altro lato, c'è chi, più cautamente, esclude un obbligo a vaccinarsi a carico del lavoratore, in assenza di una legge che lo disponga. Ciò nel segno della riserva di legge espressa dal medesimo comma 2 dell' art. 32 della Costituzione, che non è ritenuta soddisfatta né dall'art. 2087 del codice civile perchè pone a carico del datore di lavoro soltanto un generico obbligo di sicurezza né dall'art. 279 del d.lgs. n. 81 del 2008 perchè, come visto, afferisce ad una situazione diversa.

Contro tale posizione, vale, tuttavia, il rischio che, in alcuni luoghi di lavoro, il contagio possa creare danni irreversibili non solo ai lavoratori ma anche alla collettività. Ad esempio, negli ospedali o in quei luoghi aperti al pubblico .

Trattasi, in buona sostanza, di posizioni in grado di prestare allo stesso modo il fianco a eccezioni dirimenti. In una prospettiva risolutiva, conviene perciò prendere le mosse da ciò che è vero ed oggettivo. I punti sono almeno quattro:

1) Il Protocollo del 24 aprile 2020 ha frenato, per quanto è stato possibile, il contagio nei luoghi di lavoro;

2) il vaccino è uno strumento nuovo di cui, all'epoca di tale protocollo, non si aveva disponibilità;

3) non tutti i lavoratori possono sottoporsi al vaccino in considerazione delle proprie condizioni di salute;

4) il rischio di contagiare e di essere contagiati non è uguale per tutti i lavoratori perché varia a seconda delle mansioni e dei contesti produttivi.

Ed allora, perché non aggiornare, secondo tali traiettorie, il Protocollo per obbligare al vaccino talune categorie di lavoratori in taluni contesti produttivi? Nell'ottica di valorizzare le relative specificità, potrebbe anche soccorrere, su delega, la contrattazione collettiva di secondo livello.

In particolare, l'obbligo di vaccino sarebbe sorretto dall'art. 29bis del decreto legge n. 23 del 2020, c.d. scudo penale, convertito dalla legge n. 40 del 2020.

Secondo tale disposizione, "ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni…".

Di conseguenza, taluni datori di lavoro, per la necessità di evitare un reato, potrebbero imporre il vaccino a talune categorie di dipendenti e questi ultimi non potrebbero rifiutarsi.
A margine di queste considerazioni, e' curioso sottolineare un ultimo dato, che ne è corollario. Gli smart workers potrebbero rientrare nel novero dei lavoratori obbligati a vaccinarsi dato il più elevato rischio di contrarre il virus negli ambienti domestici. E ciò in conseguenza delle più elevate probabilità di contagio a scuola dei figli, anche a causa delle differenti varianti, di parenti. amici "di casa" in assenza delle misure contro il contagio previste dal Protocollo de 24 aprile 2020 per uffici e aziende.

Un dato curioso in quanto proprio tale Protocollo aveva candidato lo smart working a importante strumento di contenimento della diffusione del Covid. Ma i tempi erano diversi.

La regola era quello del "restate a casa", con forti limiti alle relazioni e le scuole erano, per lo più, chiuse con massiccio ricorso alla didattica a distanza.

In definitiva, un new normal richiede decisioni senza pregiudizi ideologici, al servizio del bene comune. La fiducia nelle Parti sociali, in una logica di sussidarietà, è un primo passo in questo senso. Abitare il mondo del lavoro, significa conoscerlo e saperne interpretare i cambiamenti. Lo ricordava Gino Giugni.

Note:

1 - Le posizioni sono divise anche sulla qualificazione del rischio prodotto dal Covid in azienda. Secondo alcuni è specifico dei contesti produttivi, secondo altri è generico perché concerne l'intera collettività e non i contesti produttivi, secondo altri è aggravato, a metà strada, per semplificare, tra le prime due tipologie di rischi. La qualificazione di rischio specifico imporrebbe l'aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in azienda ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008. La nuova Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020, direttiva dell'Unione Europea "modifica l'allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'inserimento del SARS-CoV-2 nell'elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell'uomo e che modifica la direttiva (UE) 2019/1833 della Commissione". Essa inserisce il virus SARS-CoV-2 nel gruppo 3, a cui appartengono agenti biologici che possono causare malattie gravi in soggetti umani costituendo un serio rischio per i lavoratori; l'agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

2 - Secondo alcuni, per queste tipologie di lavori, i lavoratori avrebbero non tanto l'obbligo ma l'onere di vaccinarsi. Il vaccino sarebbe, cioè, strumento per l'esecuzione della prestazione lavorativa. Coma la patente per chi svolge attività di autista. In questa direzione si muove la sentenza della Corte costituzionale n. 218 del 1994 sul necessario accertamento sanitario in merito all'infezione da HIV "come condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi".

* a cura di Ciro Cafiero, Studio Legale Cafiero Pezzali & Associati

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