Penale

Pubblicazione di immagini fotografiche sul profilo facebook, conclusioni critiche suggestive e diffamazione

A parere della Corte:"il riprodurre un singolo momento della vita lavorativa è condotta del tutto inidonea a rappresentare il fondamento di una critica che, come nel caso di specie, investe l'intera portata dell'attività stessa o, meglio, della diligenza e dell'impegno di coloro che vi sono coinvolti"

di Mattia Miglio, Alberta Antonucci


Con la sentenza che qui si commenta ( Cass. Pen, sez. V, sent. 24 marzo 2021, n. 11426 ) la Cassazione offre interessanti spunti di riflessione sul rapporto tra il reato di diffamazione e la pubblicazione sui profili social di immagini fotografiche lesive della reputazione dei soggetti ivi rappresentati.

Nella vicenda in esame, all'odierno imputato veniva contestato di aver offeso alcuni operai di un Comune mediante la pubblicazione - sul proprio profilo Facebook - di un'immagine che li raffigurava durante lo svolgimento delle loro mansioni e che - unitamente a una didascalia di accompagnamento - era finalizzata a rappresentarli - agli occhi di tutti coloro che seguivano il profilo dell'imputato - "come degli "sfaticati", in quanto componenti di un gruppo, volta a volta, destinato a dividersi il lavoro in termini di estrema rilassatezza" (p. 1).

Nel respingere le censure mosse dal ricorrente, la Suprema Corte precisa in prima istanza che non può essere messo in discussione il carattere lesivo della comunicazione in danno ai soggetti rappresentati.

Lungi dal rientrare nella (più ampia) sfera del diritto di critica - segnatamente, una critica non specificamente rivolta alle persone offese (secondo la ricostruzione difensiva, l'intenzione dell'imputato era infatti quella di "non generalizzare e di non voler puntare il dito contro questi tre nella foto", p. 1) - la Cassazione conferma la ricostruzione acolta dalla Corte d'Appello e osserva che il post era oggettivamente e puntualmente riconducibile ai soggetti rappresentati; ne è la conferma la circostanza secondo cui l'odierno imputato era dovuto intervenire - "a posteriori, quando ormai la diffamazione era stata consumata" (p. 1) - sul proprio profilo per "difendere i quattro operai dagli attacchi che si" erano "susseguiti dopo la pubblicazione sul suo profilo Facebook della foto e del commento" (p. 1).

Ciò precisato, la sentenza esclude poi che il post incriminato possa comunque rientrare nella sfera del diritto di critica tout court: "infatti, le affermazioni adoperate sono prive di razionale correlazione con una base fattuale obiettiva, se si considera che l'aver riprodotto un singolo momento della vita lavorativa è condotta del tutto inidonea a rappresentare il fondamento di una critica che, come nel caso di specie, investe l'intera portata dell'attività stessa o, meglio, della diligenza e dell'impegno di coloro che vi sono coinvolti" (p. 2).

Conclude così la Corte: "in altre parole, non è sufficiente un qualunque collegamento con singoli episodi a giustificare conclusioni critiche che, aspre o non che siano nei toni, offendono la reputazione dei soggetti interessati, finendo per essere suggestive ed insinuanti, nella misura in cui lasciano intendere ai destinatari della comunicazione che quei singoli episodi siano - ciò che invece non è documentato , ossia non risponde al vero - espressione di una condotta generalizzata" (p. 2).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

Correlati

Corte di Cassazione Sezione 5 Penale Sentenza 14 maggio 2020 n. 15089

Sezione 5

Corte di Cassazione Sezione 5 Penale Sentenza 29 luglio 2020 n. 23093

Sezione 5