Lavoro

Pubblico impiego, straordinari richiesti dal datore sempre da retribuire

La Corte di cassazione, sentenza n. 17912 depositata oggi, ha affermato che l’eventuale violazione di regole contrattuali o tetti di spesa può fondare unicamente la responsabilità dei proposti ma non gravare sul lavoratore

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di Francesco Machina Grifeo

Se la prestazione straordinaria è stata eseguita, allora va retribuita sempre e comunque. Questa affermazione si basa su un principio cardine dell’ordinamento – scolpito anche nella Costituzione (art. 36) – che dunque supera anche le previsioni della contrattazione collettiva e la specifica regolamentazione in materia di spesa pubblica. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17912 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un infermiere che chiedeva alla Asp di Reggio Calabria il pagamento per le prestazioni aggiuntive rese nel servizio «dialisi estiva», destinato anche a persone in ferie nella regione, pagate negli anni precedenti e successivi, ma non nel 2013.

La domanda, dunque, riguardava la remunerazione di attività svolte dal ricorrente oltre il debito orario per l’assicurazione di prestazioni in favore anche di pazienti di altre regioni. La Corte di merito ha però ritenuto che, mancando l’allegazione e la prova dei “fatti costitutivi”, tra cui l’autorizzazione regionale e le condizioni soggettive dei lavoratori (prestazione di servizio a tempo pieno da almeno sei mesi; assenza di esenzioni da mansioni; etc.) e mancando altresì una disciplina contrattuale specifica sui compensi, la domanda andasse disattesa.

La Suprema corte ricorda che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni c.d. «aggiuntive» - ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 402 del 2001, conv. con mod. dalla l. n. 1 del 2002, richiamato ratione temporis dalla contrattazione collettiva del comparto sanità - è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti cc. dd. soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, il quale determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione.

Per autorizzazione, poi, si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente vel prohibente domino , ma con il consenso del medesimo e che il consenso può anche essere implicito. Esso, una volta esistente, rende necessario il pagamento e ciò anche ove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo.

Una lettura fatta propria anche dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 8 del 27 gennaio 2023, che nel vagliare la legittimità dell’art. 2033 c.c., rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l’art. 2126 c.c., in ragione della protezione da esso assicurata alla «causa dell’attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta», giustifica «sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del medesimo», ponendosi, sotto quest’ultimo, come uno dei parametri di equilibrio dell’ordinamento.

Dunque, una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore che possono gravare le conseguenze della divergenza rispetto agli impegni di spesa. Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità dei preposti che non avrebbero in ipotesi dovuto consentire quelle lavorazioni.

La Sezione lavoro, in tema di pubblico impiego privatizzato, chiarisce con un principio di diritto che il disposto dell’art. 2126 c.c. “non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, sia stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost.”.

In sede di rinvio, dunque, la Corte d’appello di Reggio Calabria dovrà verificare l’esistenza del credito retributivo “in ragione del superamento del debito orario e con riferimento, sotto il profilo della quantificazione, alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo, senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario eventualmente previsti dalla medesima contrattazione, né ad altri vizi degli incarichi con cui è stato disposto l’impiego del lavoratore nel servizio di dialisi estiva”.

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