Reati fiscali: le presunzioni legali non costituiscono di per sé fonte di prova
In materia di reati tributari, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie hanno valore indiziario sufficiente a integrare il fumus commissi delicti idoneo a giustificare l'applicazione di una misura cautelare reale, giacché ai fini dell'applicazione della cautela reale non occorre che il compendio indiziario si configuri come grave ai sensi dell'articolo 273 del Cpp, ma è appunto sufficiente l'esistenza del fumus in concreto. Per converso, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, ai fini di una pronuncia sul merito, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa. Questo il principio che i giudici penali della Cassazione hanno espresso con la sentenza n. 30890 del 2015.
La prova del reato - Ai fini della prova del reato, quindi, il giudice può fare legittimamente ricorso agli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza o dall'ufficio finanziario, anche ai fini della determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, ma a condizione che detti elementi, quando determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, siano assunti non con l'efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori, e, siccome dette presunzioni hanno il valore di un indizio, esse, per assurgere a dignità di prova, devono trovare oggettivo riscontro o in distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti.
Corte di cassazione – Sezione III penale – Sentenza 16 luglio 2015 n. 30890