Penale

Reati tributari, al giudice penale il compito di determinare l'imposta evasa

Spesso il contribuente giunge al processo su basi che non superano il vaglio del giudice penale il quale, pur non potendo prescindere dalle risultanze dell'accertamento effettuato dall'Amministrazione finanziaria, è tuttavia tenuto a valutarle sviluppando un proprio iter logico-argomentativo

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di Enzo Gambararo*

Nessuna novità in ordine alla verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/00 da parte del contribuente che affronta un giudizio penale per contestazioni in ambito dichiarativo e/o di omesso versamento. E' granitico, infatti, l'orientamento della Corte di Cassazione sulla circostanza che il convincimento del giudice penale deve formarsi nel corso del processo sulla scorta delle allegazioni documentali prodotte dall'imputato che possano contrapporsi alle basi probatorie, a volte scarne, su cui si fonda la ricostruzione accusatoria.

Il presente scritto, che trae spunto dalla pronuncia n. 16865 dell'11/3/2021 con cui la terza Sezione ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato per la violazione dell'articolo 5 del D.lgs. 74/00 non avendo presentato la dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi, con ciò, come detto, inserendosi nel solco già tracciato dalla giurisprudenza della Corte, è mosso dall'esigenza pratica di offrire elementi di valutazione delle dinamiche processuali che si instaurano all'esito dell'incardinamento di un procedimento sulla base di informative di reato che affondano le radici su ragioni di natura esclusivamente tributaria.

Spesso accade che le Procure coltivino l'obbligatorietà dell'azione penale sulla scorta della ricostruzione operata dagli uffici finanziari all'esito di una attività accertativa, spesso di origine induttiva, a volte ricorrendo a mere presunzioni disciplinate dall'ordinamento tributario.

Si pensi ad esempio al caso in cui, in assenza delle scritture contabili, viene contestata l'omessa dichiarazione determinando l'imposta evasa applicando l'aliquota vigente ai soli ricavi desunti da banche dati in uso agli organi accertativi, ovvero ricorrendo a quelli dichiarati nel bilancio annuale pubblicato al registro delle imprese.

In siffatte ipotesi, la ricorrenza del superamento della soglia di punibilità prevista dall'art. 5 del D.Lgs. 74/00 "induce" i verificatori a segnalare la circostanza "potenzialmente" delittuosa all'Autorità giudiziaria requirente, anche, forse soprattutto, per evitare di essere sottoposti a censure da parte dei diretti superiori.

La questione assume rilevanza decisiva allorquando il Pubblico ministero di turno acriticamente fa proprio il contenuto della segnalazione trasmessa passando direttamente alla formulazione del capo d'imputazione senza ricorrere ad un supplemento di accertamenti per il tramite di un consulente tecnico.

Se un simile approccio è perfettamente coerente con le disposizioni dell'ordinamento tributario che legittimano l'azione di recupero al cospetto di una condotta certamente irregolare e meritevole di sanzione non altrettanto può sostenersi se esso viene preso come unico presupposto per la contestazione penale. Talvolta, infatti, la pedissequa e fedele applicazione del sistema di calcolo imposto dalla norma fiscale conduce a conclusioni fuorvianti poiché prive di una logica aziendalistica che le rendono addirittura contraddittorie da cui, a parere di chi scrive, non può prescindersi per sottoporre il contribuente a procedimento penale, il più delle volte dagli effetti devastanti non soltanto sul piano imprenditoriale ma, soprattutto, su quello esistenziale.

Ora, l'espunzione dal calcolo della base imponibile fiscale di qualsiasi costo, anche quelli desumibili da banche dati in uso ai verificatori nonché dai bilanci pubblicati per il "solo" motivo della mancata esibizione delle scritture contabili ai sensi dell'articolo 109, comma 4, lett. b), Tuir secondo cui le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi, va nella direzione di sovvertire un principio fondamentale su cui si fonda l'esercizio di qualsivoglia tipologia di impresa. Non è revocabile in dubbio, infatti, che il conseguimento dei ricavi non possa prescindere dal sostenimento, a monte, dei correlati costi. Si pensi, ad esempio, ad un'impresa che svolge esclusivamente attività di commercio che è nelle condizioni di conseguire ricavi solo se dispone dei beni che vende; sarebbe illogico, infatti, ipotizzare la sussistenza di ricavi di vendita in assenza di costi viceversa necessari per l'acquisizione dei beni destinati al mercato.

In simili circostanze, in assenza di idonea produzione documentale, così come intesa dalla richiamata norma tributaria, nonché di altra allegazione documentale da parte del contribuente, il bilancio d'esercizio dovrebbe costituire comunque il presupposto per un potenziale esimente penale, se non altro per impedire un inutile ingolfamento delle aule di giustizia che, in molti casi, si traduce in estinzione dei processi per prescrizione e/o nella assunzione di una sentenza assolutoria, con ciò restituendo al contribuente, almeno sotto il profilo penale, quella dignità messa in seria discussione dal rigido formalismo dell'ordinamento tributario a cui inevitabilmente soggiace.

In tali casi, a parere di chi scrive, i verificatori dovrebbero svolgere un ruolo collaborativo all'attività giudiziaria consistente nel rimandare la segnalazione penalmente rilevante all'esito dell'esame di merito finalizzata alla sterilizzazione delle conclusioni di quegli elementi tipici dell'indagine di natura esclusivamente tributaria.

Al contrario, la pratica professionale è densa di casi in cui il contribuente giunge al processo su basi che non superano il vaglio del giudice penale il quale, pur non potendo prescindere dalle risultanze dell'accertamento effettuato dall'Amministrazione finanziaria, è tuttavia tenuto a valutarle sviluppando un proprio iter logico-argomentativo, che può anche comportare una quantificazione dell'ammontare dell'imposta evasa in misura diversa da quella accertata dagli organi dell'amministrazione finanziaria, o determinata nell'ambito del contenzioso tributario, anche, eventualmente, mediante il ricorso a presunzioni di fatto che meglio si attagliano alle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell'accertamento penale.

Ed è proprio l'elemento fattuale, da cui desumere con certezza o, comunque, il ragionevole dubbio sulla bontà dell'impostazione offerta dai verificatori del fisco, per il cui accertamento è richiesta la "collaborazione" dell'imputato con un'opera di allegazione documentale, che costituisce la base su cui il giudice penale costruisce il suo libero convincimento.

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*A cura di

Enzo Gambararo, Dottore commercialista, esperto in diritto penale commerciale e tributario, membro del Comitato Scientifico Nazionale della School University Foundation

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