Reato di tortura al branco che abitualmente umilia un invalido postando l’azione in rete
La condizione di minorata difesa sussiste se si approfitta dello stato di disagio e di sottomissione psicologica di una persona con disabilità fisica o mentale
Scatta il reato di tortura quando le condotte reiterate di sopraffazione, anche solo psicologica, contro la vittima posta in condizione di minorata difesa, determinano l’annichilimento dell’autodeterminazione del soggetto preso di mira. La condotta può realizzarsi non solo tipicamente con violenze e minacce, ma anche sottoponendo la vittima a trattamenti inumani e degradanti. Lo hanno affermato i giudici della Quinta sezione della Cassazione con la sentenza n. 34207 depositata il 10 settembre.
Il caso e il ricorso respinto
Come nel caso risolto dalla Cassazione penale dove gli imputati si sono visti confermare le condanne per il reato previsto dall’articolo 613 bis del codice penale avendo più volte sottoposto a vessazioni invalidi fisici o mentali. Invalidità di cui gli autori approfittavano per sottoporre i soggetti deboli presi di mira a denigrazioni e restrizioni fisiche umilianti ordite, filmate e poi diffuse su social network.
Di fatto un vero e proprio branco che poneva le vittime in uno stato di soggezione derivato dal trauma di essere stati derisi, umiliati e esposti a pubblica attenzione mentre subivano costrizioni fisiche e/o psichiche.
Anche la sola paura ingenerata costituisce elemento del delitto di tortura ai fini della sussistenza dello stato di minorata difesa della vittima. Mentre il trauma psichico “verificabile”, richiesto dalla norma penale, che può essere una delle conseguenze del reato - al pari delle acute sofferenze fisiche - non deve integrare una vera e propria malattia qualificata, ma deve essere solo dimostrato che si è verificato e che non sussisteva prima di aver subito il delitto.
Tutti gli imputati che ponevano in condizioni di soggezione o di derisione le proprie vittime, affette da stati di disagio, avevano cercato di sminuire le proprie condotte a banali scherzi e contestavano che tali comportamenti avessero rilevanza di tortura. Sostenevano infatti, che la norma italiana avrebbe erroneamente trasposto il divieto di rilievo internazionale nella previsione del reato di tortura di recente conio. Infatti, la Convenzione europea sui diritti dell’Uomo scinde tale divieto dall’autonoma norma internazionale che punisce la tortura.
In particolare la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 34207/2024 - ha ribadito che la rilevanza, ai fini della contestazione del reato previsto dall’articolo 613 bis del codice penale, anche dei trattamenti inumani e degradanti per la dignità umana è scelta pienamente legittima da parte del Legislatore italiano. E anche se nella Cedu si tratta di categoria che viene distinta dalla tortura, intesa come sopraffazione perpetrata con volontà sadica attraverso minacce e abusi.
La norma penale, quindi, non viola alcun canone costituzionale per aver ricompreso nella fattispecie della tortura, introdotta nel nostro ordinamento nel 2017, anche le condotte che coincidono con trattamenti inumani e degradanti. Tra questi ben può rientrare anche l’attività successiva di postare in rete le sopraffazioni inflitte deridendo le vittime riprese nei filmati.
Il reato di tortura
La norma punisce chi - con violenze, minacce gravi o agendo con crudeltà - provoca acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza. Ma il reato non scatta solo quando vi sia di fatto abuso di una relazione di “fiducia” ma è sufficiente anche che la parte lesa si trovi comunque in condizioni di minorata difesa. Il reato è poi punito più gravemente quando è commesso da un pubblico ufficiale, che abusi dei propri poteri, o quando è perpetrato con più condotte o viene inflitto con un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Ovviamente se è sufficiente l’annichilimento psichico a far emergere la condizione di “persona torturata” le pene sono inasprite in caso siano cagionate lesioni personali, che attingono anche l’integrità fisica della vittima.
L’inasprimento sanzionatorio arriva a trenta anni di carcere quanto involontariamente il torturatore cagioni la morte della persona in condizione di minorata difesa. Mentre scatta l’ergastolo per l’evento morte voluto e realizzato.