Resta (ancora) irrisolta la questione della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi
Nell'alveo della <span id="U50731792687rsB" style="font-weight:normal;font-style:italic;">querelle </span>giurisprudenziale si è inserito, da ultimo, il Tribunale di Bari, con la sentenza n. 2179 del 6 settembre 2023
Tanto la giurisprudenza costituzionale quanto quella di legittimità e di merito, da almeno 50 anni, si affannano, in assenza di una specifica previsione normativa, nell'individuazione del momento di decorrenza del termine prescrizionale dei crediti retributivi.
In deroga all'art. 2935 cod. civ., la decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto – anziché dalla maturazione del singolo credito - è stata affermata dalla giurisprudenza costituzionale, dapprima, come principio generale (cfr. Corte Cost. 63/1966), successivamente, con l'entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori, solamente per i rapporti sottratti al rimedio della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo (cfr. Corte Cost. 174/1972). Ciò, in considerazione del possibile timore di ritorsioni per il lavoratore che, privo della tutela reintegratoria, rivendicasse un proprio credito retributivo in costanza di rapporto (il cosiddetto "metus").
Un lungo dibattito, fatto di pronunce di segno opposto e plurime questioni di legittimità costituzionale, è seguito all'entrata in vigore, dapprima, della L. 92/2012 ("Riforma Fornero") e successivamente del D.Lgs. 23/2015 ("Jobs Act").
Nell'alveo di tale querelle giurisprudenziale si è inserito, da ultimo, il Tribunale di Bari, con la sentenza n. 2179 del 6 settembre 2023 . Discostandosi dall'indirizzo impresso, esattamente un anno prima, dalla Corte di Cassazione nella nota sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 , il Tribunale ha affermato la decorrenza in costanza di rapporto di lavoro (anche) dei crediti retributivi sorti successivamente all'entrata in vigore della modifica dell'art. 18 da parte della Riforma Fornero (L. 92/2012).
Nel caso sottoposto al vaglio del Giudice, il dipendente lamentava la mancata percezione, nei periodi di ferie fruiti nel corso del rapporto di lavoro - intercorso tra il 1° febbraio 1978 e il 31 marzo 2019 - di una pluralità di voci della retribuzione ordinaria, chiedendone il pagamento, tenuto conto della prescrizione intervenuta sino all'entrata in vigore della Riforma Fornero (12 luglio 2012).
Contestata l'improcedibilità e l'infondatezza della pretesa del dipendente al riconoscimento della retribuzione ordinaria durante la fruizione delle ferie, la società resistente ha, da parte sua, eccepito la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi con decorrenza in costanza di rapporto, ancorché maturati in vigenza del regime Fornero.
Una volta chiarita la spettanza delle differenze retributive rivendicate dal dipendente ed accertata la sussistenza del requisito dimensionale di cui all'art. 18 della Legge n. 300/1970, il Tribunale ha, anzitutto, rilevato quattro profili di sospetta illegittimità costituzionale (ex art. 3 Cost.) in ordine al diverso trattamento riservato ai crediti sorti prima e dopo l'entrata in vigore della Riforma Fornero in rapporti di lavoro, comunque, connotati da stabilità reale.
La tesi sulla quale si impernia il percorso argomentativo del Giudice barese è la seguente: "i rapporti di lavoro attratti sotto l'egida della L. 92/2012 sono muniti del carattere di stabilità, avendo il giudice il potere di sindacare le circostanze poste a base del licenziamento e di rimuovere gli effetti prodotti, in caso di insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo e di contemporanea ricorrenza di un motivo illecito."
L'elemento di stabilità del rapporto, rilevante ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, risiederebbe, a detta del Tribunale, nella codificazione da parte della Legge 92/2012 della nullità del licenziamento viziato da motivo illecito ex art. 1345 cod. civ. a fronte della quale, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati, è previsto il diritto del dipendente alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento dell'indennità risarcitoria, perdipiù, senza detrazione dell'aliunde percipiendum.
Il risultato prodotto dalla Riforma Fornero sarebbe, perciò, quello di aver mantenuto o di aver conferito maggiore forza alla stabilità dei rapporti di lavoro, egualmente rinvenibile sia nei rapporti di lavoro di cui alla prima formulazione dell'art. 18, sia nei rapporti di lavoro che ricadono nella disciplina introdotta dalla L. 92/2012.
L'idoneità del primo e del secondo comma dell'art. 18 – come modificati dalla Riforma Fornero – "a garantire l'integrale ripristino della situazione antecedente al recesso datoriale ritorsivo" escluderebbe la sussistenza del timore del dipendente di essere licenziato in ragione delle rivendicazioni retributive, rendendo del tutto ininfluente la previsione, nei casi di illegittimità del licenziamento diversi dall'insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo, della tutela indennitaria in luogo di quella reintegratoria.
L'indirizzo interpretativo espresso dal Giudice barese - circoscritto dal caso di specie solamente al regime introdotto dalla Riforma Fornero – si presta ad essere applicato anche ai rapporti di lavoro assoggettati alla disciplina del contratto a tutele crescenti.
Se, da un lato, è vero che il primo comma dell'art. 2 del D.Lgs. 23/2015 non rinvia espressamente (a differenza del primo comma dell'art. 18) all'art. 1345 cod. civ, dall'altro lato, in diverse occasioni, la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di applicare estensivamente tale disposizione - che dispone testualmente la tutela reale piena a fronte del licenziamento "riconducibile agli altri casi di nullita' espressamente previsti dalla legge" - alle fattispecie di nullità della disciplina generale dei contratti, tra le quali, giust'appunto, l'art. 1345 cod. civ..
Oltretutto, il regime del contratto a tutele crescenti è stato oggetto di diversi interventi interpretativi che hanno determinato, in concreto, un'espansione del rimedio reintegratorio a scapito di quello indennitario.
A partire dalla equiparazione dell'insussistenza del fatto materiale all'insussistenza del fatto giuridico di cui all'art. 3, co. 2, del D.Lgs. 23/2015 (cfr. Cass. 12174/2019 ), nonché, indirettamente, attraverso l'eliminazione della predeterminazione automatica dell'indennizzo e la determinazione di una larghissima cornice indennitaria, in caso di licenziamento illegittimo (per assenza di giusta causa o giustificato motivo), tra le 6 e le 36 mensilità (cfr. Corte Cost. 194/2018 ).
Peraltro, l'orientamento interpretativo che valorizza, ai fini prescrittivi, la compressione formale della tutela reale desta perplessità se si considera, da un lato, l'estensione della tutela reale da parte della giurisprudenza costituzionale alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo per insussistenza del fatto di cui al settimo comma dell'art.18 (cfr. Corte Cost. 59/2021 e Corte Cost. 125/2021 ). Dall'altro lato, il recente orientamento della Suprema Corte che applica la tutela reintegratoria di cui al quarto comma dell'art. 18 alle condotte per le quali la contrattazione collettiva prevede una sanzione conservativa (solamente) attraverso una generica ed indefinita clausola generale (cfr. Cass. 16665/2022 ).
La sentenza in commento ridimensiona il principale argomento a sostegno della prescrizione dei crediti a decorrere dalla cessazione del rapporto, ossia l'ipotizzato (ma opinabile) indebolimento della tutela reale discendente dalla L. 92/2012 e dal regime Jobs Act; è verosimile, perciò, che non resti isolata. Potrebbero seguitare altre pronunce che condividano l'interpretazione del Tribunale di Bari, con il conseguente formarsi di due contrapposti orientamenti giurisprudenziali che è auspicabile trovino un compimento, a vantaggio della certezza del diritto, in una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione o in un (insperato) intervento del Legislatore.