Lavoro

Restitutio ad integrum per il dipendente sospeso in via cautelare se il procedimento disciplinare non viene mai attivato

Lo ha affermato la Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 4411/2021

di Andrea Alberto Moramarco

La sospensione obbligatoria del dipendente pubblico in caso di condanna, anche non definitiva, per alcuni specifici reati tra i quali anche il peculato, è una misura cautelare di carattere interinale il cui esito dipende dalle sorti del procedimento disciplinare. Tale misura resta giustificata solo se la sanzione inflitta è di gravità pari o maggiore della sospensione applicata. Se poi il procedimento disciplinare non viene attivato, o la sanzione inflitta è di minor gravità, il dipendente ha diritto alla restitutio in integrum per il periodo di sospensione cautelare non legittimato dalla sanzione irrogata. Questo è quanto affermato dalla Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 4411/2021, con la quale i giudici di legittimità hanno altresì ritenuto che, in seguito alla sospensione cautelare, il datore di lavoro pubblico deve sempre attivare il procedimento disciplinare, anche se nel frattempo il lavoratore sospeso si è dimesso o è andato in pensione.

Il caso
La vicenda, alquanto particolare, vede come protagonista un dirigente Asl, il quale veniva sottoposto a giudizio penale e condannato in primo grado per il reato di peculato. L'ente datore di lavoro procedeva, di conseguenza, alla sua sospensione, così come previsto dall'articolo 4 della legge n. 97/2001 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche). In appello però, dopo poco più di un anno dalla sentenza del Tribunale, veniva dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, mentre nelle more del medesimo grado di giudizio lo stesso dirigente si dimetteva avendo maturato i requisiti della pensione.
L'ormai ex dirigente, a questo punto, chiedeva la condanna della Asl alla restitutio in integrum per il periodo di sospensione dal servizio fino alla cessazione del rapporto di lavoro. Dopo l'alternarsi dei giudizi di merito, la questione arriva in Cassazione, dove i giudici di legittimità cercano di fare chiarezza su una vicenda così intricata.

La decisione
La Suprema corte condivide le argomentazioni dell'ex dirigente e, rievocando la disciplina applicabile al procedimento disciplinare, in sostanza afferma la natura provvisoria della sospensione cautelare e la sua strumentalità rispetto all'adozione di una sanzione disciplinare; l'obbligatorietà dell'azione disciplinare e il potere-dovere della pubblica amministrazione di stabilire proprio con tale azione l'esito del periodo cautelare sofferto dal dipendente; e la sopravvivenza del potere disciplinare anche rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro.
In particolare, il Collegio sottolinea come «la sospensione cautelare, in quanto misura interinale, ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo a termine e secondo l'esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella sospensione disciplinare», ovvero debba venire caducata. Se poi la sanzione disciplinare non viene inflitta o ne venga irrogata una inferiore, il dipendente ha diritto alla restitutio in integrum, che ha natura retributiva e non risarcitoria. Di conseguenza, anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro in pendenza di sospensione, il datore di lavoro pubblico ha sempre l'obbligo di intraprendere l'azione disciplinare, «non solo per dare certezza agli assetti economici tra le parti ma anche per finalità che trascendono il rapporto di lavoro già cessato», in conformità ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e a tutela della immagine della stessa.

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