Comunitario e Internazionale

Riconoscimento qualifiche professionali, possibile valutare le competenze

Ma la direttiva è inapplicabile se manca il titolo idoneo per svolgere l’attività

di Marina Castellaneta

La direttiva Ue sul riconoscimento delle qualifiche professionali non si applica se il richiedente non ha ottenuto un titolo di formazione idoneo allo svolgimento della professione regolamentata. In ogni caso, però, le autorità nazionali sono tenute a valutare in modo sostanziale e complessivo le competenze acquisite nello Stato membro di origine, procedendo a un confronto sostanziale con quelle richieste nel Paese membro ospitante, per favorire la libera circolazione.

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata l’8 luglio nella causa C-166/20 che ha chiarito l’ambito di applicazione della direttiva 2005/36 sul riconoscimento delle qualifiche professionali (recepita in Italia con Dlgs 206/2007), come modificata dalla 2013/55 (recepita con il Dlgs 15/2016).

È stata la Corte suprema amministrativa della Lituania a sollevare la questione pregiudiziale prima di risolvere una controversia tra una cittadina lituana, che aveva studiato per quattro anni farmacia nel Regno Unito, ma non aveva completato il tirocinio, non ottenendo così la qualifica di farmacista, e le autorità lituane che avevano attestato l’equipollenza del diploma a un titolo di laurea in farmacia ottenuto in Lituania, ma precisando che l’equipollenza non comportava un riconoscimento di qualifica professionale.

Per la Corte Ue, la direttiva non si applica all’interessato che chiede il riconoscimento delle qualifiche professionali senza avere ottenuto «un titolo di formazione che lo qualifichi, nello Stato membro di origine, per esercitarvi una professione regolamentata». Tuttavia, grazie agli articoli 45 (diritto alla libera circolazione dei lavoratori) e 49 (diritto di stabilimento) del Trattato sul funzionamento dell’Ue, le autorità nazionali devono considerare l’insieme di certificati, diplomi, titoli, esperienze pratiche, procedendo a una comparazione tra ciò che è in possesso del richiedente e quanto richiesto dalla legislazione nazionale. Questo per garantire l’attuazione del Trattato che non può essere messa in discussione dal diritto derivato che – osserva la Corte – mira, in ogni caso, «a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli», e a rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione. Necessario, così, un esame caso per caso per accertare l’esistenza di differenze sostanziali «tra la formazione seguita dal richiedente e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante». Se emerge una corrispondenza solo parziale, lo Stato membro ospitante ha il diritto di esigere che l’interessato dimostri «di aver acquisito le conoscenze e le qualifiche mancanti», anche ricorrendo a misure di compensazione per colmare le differenze di formazione.

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