Amministrativo

Risarcito l’agente sottoposto a visita psichiatrica per valutarne l“omosessualità”

Il Tar Piemonte, sentenza n. 353/2024, ha accolto il ricorso condannando il Ministero della Giustizia a pagare 10mila euro al dipendente dell’amministrazione penitenziaria

di Francesco Machina Grifeo

Risarcimento per l’agente penitenziario sottoposto a una visita psichiatrica per verificarne la presunta omosessualità che avrebbe potuto comprometterne l’idoneità al servizio venendo parificata ad un disturbo della personalità. Le visite, medica e psichiatrica, erano state ordinate dopo una segnalazione, risultata poi falsa, di due detenuti che avevano lamentato delle avances da parte dell’agente. Il Tar Piemonte, sentenza n. 353/2024, accogliendo il ricorso dell’agente ha condannato il Ministero della Giustizia a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

Il ricorrente si doleva della condotta con cui l’amministrazione l’aveva “messo alla gogna”, sottoponendolo a penetranti controlli psichiatrici, determinando così in lui uno stato di sofferenza, anche tenuto conto della diffusione, all’interno dell’ambiente di lavoro, di informazioni relative alla propria vicenda personale.

Via Arenula si è difesa sostenendo la legittimità dell’operato dell’amministrazione in relazione all’apertura del procedimento disciplinare, in quanto “atto dovuto a fronte delle dichiarazioni spontaneamente rese dai detenuti”, mentre con riferimento alla sottoposizione del ricorrente a controlli psichiatrici, rilevava come gli stessi fossero finalizzati ad accertare l’idoneità al servizio dell’Agente Scelto in ragione dello stato di ansia manifestato dal dipendente a seguito della contestazione dei fatti disciplinarmente rilevanti.

Per il Tribunale la condotta tenuta dall’amministrazione è “illecita e foriera, per il ricorrente, di un danno non patrimoniale risarcibile”. Sotto il profilo dell’evento di danno, si legge nella decisione, rileva l’aver sottoposto il ricorrente ad un colloquio medico e, successivamente, ad un accertamento psichiatrico presso la C.M.O., per “fare chiarezza sulla personalità” in assenza di elementi concreti che consentissero di ritenere anche solo possibile che il ricorrente fosse affetto da un disturbo della personalità.

Si è trattato di una decisione “arbitraria e priva di un valido supporto giuridico, oltreché tecnico-scientifico, atteso che l’amministrazione indebitamente ha operato una sovrapposizione tra l’orientamento sessuale del ricorrente e la necessità di ‘fare chiarezza sulla personalità’ sul versante psichiatrico, operando un’illegittima inferenza tra la presunta omosessualità dell’Agente Scelto e l’esistenza di un disturbo della personalità”. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la condotta dell’amministrazione deve ritenersi quantomeno connotata da colpa.

Per la Terza Sezione dunque “può ritenersi che la circostanza di essere stato sottoposto ad accertamenti psichiatrici finalizzati a valutare l’idoneità al servizio in ragione della presunta omosessualità del ricorrente (rilevante, secondo l’amministrazione, sul piano della “personalità” del dipendente) sia idonea a cagionare un danno non patrimoniale, sotto forma di sofferenza morale, in quanto veniva messa in dubbio l’idoneità del dipendente allo svolgimento delle proprie mansioni in ragione di quello che si presumeva fosse il suo orientamento sessuale, veicolando l’idea per cui l’omosessualità (attribuita al ricorrente) potesse essere ritenuta un disturbo della personalità”.

“In questa prospettiva – prosegue la sentenza - non rileva la circostanza dell’effettivo orientamento sessuale del ricorrente, in quanto ciò a cui si ricollega l’esistenza del danno è la condotta consistita nell’aver attribuito al dipendente uno stato di salute (in tesi, un disturbo della personalità) tale da rendere necessario un accertamento psichiatrico, notoriamente connotato da un grado di “invasività” non trascurabile, in particolar modo nei casi in cui tale accertamento attenga ad una sfera strettamente personale quale quella dell’orientamento sessuale”.

Bocciata invece la richiesta di risarcimento per essere stato deriso ed emarginato dai suoi colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicende personali, ed aver dovuto chiedere il trasferimento. Per il Tar non vi sono elementi che possano condurre ad escludere che le conseguenze pregiudizievoli lamentate siano state cagionate da fattori causali alternativi, come per esempio: la diffusione di informazioni relative al procedimento disciplinare e non dagli indebiti accertamenti sanitari a cui il ricorrente è stato sottoposto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©