Sanzioni disciplinari avvocati, violazioni penali fuori dalle fattispecie tipiche
La Corte di cassazione, sentenza n. 26369 depositata oggi, conferma che la sanzione dell’avvertimento può essere troppo lieve. Respinto il ricorso di un avvocato condannato dal Cnf alla sospensione per 6 mesi per violenza sessuale
Le condotte del legale che violano la legge penale, sotto il profilo deontologico, non possono essere costrette in fattispecie “tipiche” sanzionabili al più con l’avvertimento. Al contrario, in ragione della loro gravità, si deve poterle inquadrare anche in condotte “atipiche” consentendo così la possibilità di comminare sanzioni più pesanti.
La Corte di cassazione, sentenza n. 26369 depositata oggi, ha così respinto il ricorso di un avvocato condannato dal Consiglio nazionale forense alla sospensione dalla professione per sei mesi per aver “toccato con intenti inequivoci la mano, i fianchi e la gamba d’una donna recatasi da lui per un colloquio di lavoro”. I fatti accertati, e non più posti in discussione, avevano portato precedentemente alla condanna in sede penale per violenza sessuale di “minore gravità” a 6 mesi di reclusione e interdizione dai pubblici uffici e dalla professione, con pena sospesa.
L’avvocato qualche anno dopo venne sottoposto anche a procedimento disciplinare, l’esito del quale si è concluso oggi in Cassazione. Il Consiglio di disciplina (Cdd) lo ritenne responsabile della violazione degli artt. 9, co. 2, codice deontologico (“l’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense”) e 63 del medesimo codice (“l’avvocato, anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi”), sanzionandolo con l’avvertimento. Il Pg impugnò la decisione ritenendola troppo lieve e il Cnf gli diede ragione comminando la sospensione per 6 mesi.
Per il Consiglio, infatti, era sbagliato mettere a fondamento della sanzione una norma che prevede come illecito la violazione del “dovere di agire verso i terzi in modo da non compromettere la dignità della professione”, condotta sanzionata “con l’avvertimento” (art. 63, terzo comma, del Codice deontologico). Non si era infatti davanti a un “comportamento compromettente la dignità professionale nei rapporti coi dipendenti”, ma piuttosto a una “consapevole violazione della legge penale, ai sensi dell’art. 4, comma 2, ed una violazione del dovere di dignità e decoro, di cui all’art. 9, comma 2, del Codice Deontologico”.
Contro questa decisione ha proposto ricorso l’avvocato, contestando, tra l’altro, che l’illecito era stato inscritto tra le violazioni “atipiche” previste appunto dal combinato disposto degli artt. 4, comma 2 (violazione consapevole della legge penale) e 9, comma 2 (violazione generica dei doveri di dignità e decoro) del codice deontologico.
L’organo disciplinare, ricostruisce la Suprema corte, era chiamato a stabilire se la condotta ascritta all’incolpato rientrasse nella previsione dell’art. 63 del Codice Deontologico, con conseguente applicabilità della sola sanzione dell’avvertimento; oppure rientrasse nella previsione dell’art. 9, secondo comma, del Codice Deontologico, con conseguente possibilità di irrogare sanzioni più gravi.
Ebbene per le S.U. civili “non è irragionevole” la decisione del Cnf di sussumere la violenza sessuale nella previsione generale, invece che in quella speciale, per due ragioni. La prima è che “ragionevolezza” è, innanzitutto, proporzione e misura. “Sicché – si legge nella decisione - fu conforme a proporzione ritenere che un fatto penalmente rilevante non rientrasse nella previsione più lievemente sanzionata”; “e fu conforme a misura escludere l’applicabilità dell’art. 63 del Codice deontologico: la tesi del ricorrente, infatti, condurrebbe all’insostenibile reductio ad absurdum per cui qualunque fatto illecito extraprofessionale commesso dall’avvocato in danno di terzi sarebbe sempre punibile soltanto con l’avvertimento”.
Non è la prima volta, del resto, che la Cassazione risolve in senso affermativo il quesito se una condotta formalmente rientrante in una previsione disciplinare tipizzata, possa legittimamente essere sussunta in una previsione disciplinare generale ed atipica. Il giudice disciplinare infatti è “libero di individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme”. Così in passato, le S.U. (15852/2009) hanno ritenuto corretta la decisione del Cnf che a fronte di espressioni ingiuriose verso un collega contenute negli scritti difensivi invece dello specifico articolo del codice applicò quello generico che puniva i comportamenti contrari a correttezza e lealtà verso i colleghi.