Il CommentoSocietà

Scissione c.d. “mediante scorporo”, la fruizione dell’istituto non esula dalle implicazioni fiscali

L’operazione è idonea a garantire il perseguimento di finalità empiriche quali la creazione di holding di famiglia e subholding

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di Osvaldo Passafaro*

Diametralmente opposta alla fusione, la scissione ex art. 2506 c.c. , sfruttando le tecniche cc.dd. “ di split up ” (assegnazione totale del patrimonio a due o più società) e/o “ spin off ” (ovvero parziale), rientra nel novero delle operazioni straordinarie.

La funzione disgregativa in parola, allorché sia totale, comporta l’estinzione della preesistente scissa. Mentre si ha continuità, se parziale. Ma, la natura giuridica della scissione, secondo la dottrina preferibile, si concreta nel fenomeno di sopravvivenza in seno a un assetto organizzativo nuovo.

Le beneficiarie (preesistenti o newco che esse siano) dovranno in ogni caso essere due o più, per non darsi luogo (nell’un caso) a fusione ovvero a trasformazione (nel secondo).

Orbene, La recente modifica di matrice comunitaria (dir. U.E. 2019/2121) a opera dell’art.51, c.3, del D. Lgs. n.19/2023 che ha interessato il Libro V, Titolo V, Capo X, del Codice civile, con l’introduzione del nuovo art. 2506.1 , ha tuttavia recepito l’istituto giuridico di nuovo conio (se non altro, per il nostro ordinamento giuridico) della scissione c.d. mediante scorporo ”, operazione domestica e, ricorrendone i dovuti presupposti di cui al citato Decreto, anche transnazionale, idonea a garantire il perseguimento di finalità empiriche quali la creazione di holding di famiglia e subholding. Ma, nell’ambito di gruppi societari, altresì suscettibile di dar luogo ad anelli intermedi della catena partecipativa (per il caso di riorganizzazione della compagine sociale) ovvero ancora utile ad apportare sinergie e/o procedere a ramificazioni cc.dd. “verticali” della pianificazione d’impresa – in una chiara ottica di diversificazione.

Il principale profilo di novità dello scorporo risiede nell’attribuzione diretta alla scissa delle azioni e quote emesse dalla beneficiaria, a fronte del patrimonio assegnato, attraverso una allocazione di tipo permutativo di asset traslativi di attività e passività (beni cc.dd. “ di primo grado ”), con conseguente patrimonio netto contabile invariato.

Sicché, ai fini della determinazione dell’entità patrimoniale della beneficiaria, si procede dal valore netto contabile che quelle stesse partecipazioni traslative vantano presso la scissa, in costanza dell’efficacia temporale dell’operazione (la data).

Ne consegue una potenziale affinità col conferimento, sotto il profilo meramente strutturale (operazione c.d. “traslativa”), messa in forse, nondimeno, dal superiore fenomeno di sopravvivenza (vicenda c.d. “successoria”), oltreché dai benefici procedurali di cui gode quanto forma oggetto di conferimento – che non potrà comunque essere rappresentato da debiti e/o passività non strettamente inerenti al cespite stesso.

Affinità di non poco momento, stante il non trascurabile vuoto normativo cui la disciplina tracciata dal D. Lgs. n.19/2023 dà luogo quanto al regime tributario nel cui alveo la scissione ex art.2506.1 c.c. va ricondotta.
Difatti, se da un lato la scissione è operazione c.d. “neutra”, dall’altro, il conferimento si configura tendenzialmente alla stregua di operazione c.d. “realizzativa” , suscettibile di potenziali plusvalenze, precedute dall’iscrizione dei beni al valore corrente.

Ai fini di un affidabile inquadramento dell’operazione sotto il profilo fiscale, un valido criterio discretivo sarebbe sibbene ravvisabile nello scorporo c.d. “composito” , per tale intendendosi quello avente a oggetto un patrimonio che consti di passività estranee al ristretto novero di quelle ammesse in seno a un conferimento.

Nella specie, pertanto, il regime fiscale dovrebbe ricalcare la disciplina civilistica dell’intero genus “scissione” , mutuata da quella in argomento. E pour cause, atteso che un patrimonio di tal fatta non integra estremi di confondibilità tra le due operazioni.
Di contro, in costanza di sole entità conferibili, si espanderebbero le aree di incertezza, con contestuale ritenzione della fruibilità dell’istituto, da parte degli operatori.

Ancora una volta, come già emerso nel circuito premiale dei bonus edilizi, i profili fiscali si configurano alla stregua di veri e propri driver, rilanciando l’ineludibile tema del consenso, di concerto con l’indispensabile mediazione culturale dell’interprete che deve precederlo, ai fini di una valida manifestazione dello stesso.

Non solo un auspicabile intervento del legislatore, dapprima, ma, l’accessoria e conseguente indagine della volontà e delle finalità empiriche perseguite a opera dei principali attori in materia, in seguito, dovranno dunque far sì che il lento permeare dell’istituto nelle maglie della prassi giunga a una viepiù concreta definizione, non già quale asettico trapasso, bensì, come pronta soluzione ricognitiva del voluto dei prossimi fruitori.

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*A cura dell’Avv. Osvaldo Passafaro, Studio Legale Talarico – Passafaro