Sequestrato il Tfr all’ex marito che non paga l’assegno divorzile
Sequestro del Tfr per il coniuge divorziato che non corrisponde con regolarità l’assegno all’ex coniuge più debole. A tutela di quest’ultimo, il Tribunale di Roma, con la sentenza 5420 del 12 marzo scorso (presidente Sangiovanni, relatore D’Auria), applica l’articolo 8, comma 7, della legge 898/70, che prevede la possibilità di disporre, come garanzia delle somme dovute, il sequestro dei beni del coniuge obbligato a versare l’assegno.
Le finalità del sequestro
Il sequestro, scrivono i giudici, ha la «finalità di impedire la libera disponibilità di beni o crediti dell’obbligato, a garanzia dell’adempimento degli obblighi di mantenimento e per evitare che nelle more del giudizio di divorzio venga dispersa ogni garanzia patrimoniale a opera dell’obbligato, onde eludere il relativo adempimento». In particolare, il Tribunale ha disposto il sequestro del 50 % degli importi e delle somme di competenza del coniuge tenuto a versare l’assegno «relative al trattamento di fine rapporto a egli dovuto all’esito della cessazione del rapporto di lavoro dello stesso con la società datrice».
Con la stessa sentenza, il Tribunale ha anche regolato la misura degli oneri connessi ai figli della coppia, aggiornandoli rispetto agli accordi intercorsi nella fase di omologa della separazione personale. In particolare, i giudici hanno riconosciuto l’autonomia economica di due dei tre figli: siccome possono disporre di entrate di circa mille euro mese, per il Tribunale sono da ritenere titolari di una «indipendenza economica». Mentre in favore del terzo figlio, maggiorenne ma ancora studente, è stato riconosciuto un incremento dell’assegno “perequativo” , rispetto alla fase separativa, commisurato alle sostanze dell’obbligato.
Le pattuizioni “accessorie”
La sentenza interviene inoltre sulle pattuizioni “accessorie” contenute negli accordi omologati a suo tempo. Per il Tribunale, «le citate pattuizioni di cui al verbale di omologa, devono ritenersi non più efficaci essendo venuto meno sul punto il consenso delle parti». In buona sostanza, sono state superati dalla pronuncia divorzile gli accordi che disponevano, tra l’altro, il pagamento delle rate di mutuo per la casa familiare interamente a carico del marito.
Sul punto, il Tribunale ha rilevato come il giudice del divorzio «non possa porre a carico di soggetto diverso da quello che è civilmente obbligato al pagamento (mutuatari, quanto al contratto di mutuo, assegnatario della casa coniugale, quanto alla stessa, e ciò con riferimento alle utenze, al condominio e le altre spese che devono ritenersi ex lege gravanti sull'assegnatario) singole spese» e ha specificato come «la possibilità di statuizione in sede divorzile debba ritenersi limitata all’assegno divorzile, al contributo al mantenimento dei figli, e alle spese straordinarie, dei soli figli».
In ossequio a tale principio e al temperamento dei maggiori oneri gravanti sulle spalle del coniuge più debole, è stato infatti disposto un incremento dell’importo dell’assegno divorzile. Per farlo il Tribunale ha richiamato i principi di diritto riconosciuti dalla sentenza delle Sezioni unite della Cassazione 18287/2018, tra i quali la durata «di 24 anni del matrimonio» e la scelta, condivisa, di vivere da casalinga, operata dalla moglie, madre di tre figli, che a 58 anni «deve escludersi che abbia la benchè minima possibilità di affacciarsi nel mondo del lavoro».