Sequestro Pc: estrazione dati libera per modi e tempi, basta la conservazione
L’autorità giudiziaria che sequestra un sistema informatico deve soltanto a garantire la conservazione dei dati originali e la conformità delle copie estratte, ma è libera di scegliere, tempi, modi e luogo in cui procedere all’”estrazione”. La Corte di cassazione, con la sentenza 31918, respinge il ricorso di tre indagati per associazione a delinquere finalizzata a commettere reati finanziari. Nel mirino della difesa dei tre era finita l’ordinanza con la quale si dava via libera ad un sequestro ad ampio “spettro”: dal materiale cartaceo al personal computer. Secondo gli indagati con il provvedimento erano state messe in atto diverse violazioni. I beni erano stati individuati dal Pm solo in via generale, mentre la concreta “scelta” era rimessa alla discrezionalità degli operanti. Il decreto, non solo non indicava il vincolo di pertinenza tra cosa sequestrata e reato, ma disponeva indiscriminatamente il sequestro dell’intero sistema informatico per fini probatori, violando il principio di proporzionalità. Per finire, l’ “apprensione” era avvenuta senza osservare le modalità previste in caso di “Digital evidence” dalla legge di ratifica della Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica n.48/2008: era così venuta meno la garanzia della genuinità e dell’integrità dei dati contenuti nel sistema. Per i ricorrenti erano ste dunque violate le modalità, indicate dal codice di procedura penale, che devono essere messe in atto al momento dell’acquisizione del sistema informatico e non dopo. Per la Cassazione non ci sono state violazioni.
È corretto il sequestro dell’intero sistema informatico, Pc e memorie, perché proporzionato rispetto all’esigenza di trovare riscontri del complesso fenomeno di evasione e truffa ideato dalle società oggetto di verifica. I giudici ricordano che in tali casi è possibile un sequestro ad ampio raggio, ferma restando la necessità di restituire le cose tempestivamente dopo un accertamento che deve avvenire in tempi ragionevoli. Se questo non avviene l’interessato può far valere le sue ragioni attraverso l’impugnazione.
Inoltre - sottolineano i giudici - nel caso esaminato non si trattava di un sequestro “esplorativo” ma di un provvedimento adottato in base a notizie di reato sufficientemente delineate.
Circostanza questa che rafforza la legittimità dell’operato dell’autorità giudiziaria. Per quanto riguarda sequestro e modalità di estrazione, gli articoli 247, comma 1 bis e 260 comma 2 del Codice di rito - sottolineano i giudici - si limitano a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure utili a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità e la non modificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni. Il Codice di procedura penale non impone, infatti, misure e procedure tipizzate. Non indica modi né luoghi o tempi «e quindi - si legge nella sentenza - devono ritenersi misure idonee quelle individuate dall’Autorità giudiziaria procedente al momento dell’analisi dei dati e non anche al momento del sequestro, nel luoghi del sequestro».
Corte di cassazione – Sezione III – Sentenza 3 luglio 2017 n.31918