Sequestro probatorio e responsabilità ambientale: legittimità della misura anche nei confronti di soggetti estranei al reato
Nota a margine della sentenza della Cassazione penale, Sez. III, 18 dicembre 2024, n. 46549
Con la sentenza in commento, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato un rilevante principio di diritto in tema di sequestro probatorio, secondo cui “Ai fini della legittimità del sequestro probatorio non è necessario che il titolare del bene sottoposto a vincolo reale coincida con l’autore del reato per il quale si procede, in quanto il sequestro probatorio, quale mezzo di ricerca e assicurazione della prova, prescinde dalla necessità che il titolare del bene e autore del reato coincidano, essendo sufficiente la relazione tra la cosa e il reato e la sua necessità a fine di prova, non occorrendo […] una relazione tra la cosa e l’indagato o autore del fatto”.
Questa, sinteticamente, la vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte.
La pronuncia in esame trae origine dal ricorso presentato da una Società avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Trento di rigetto della richiesta di riesame presentata nell’interesse della medesima società in relazione al decreto di sequestro probatorio disposto dalla Procura della Repubblica di Trento, relativo a talune aree facenti parte di un sito di interesse nazionale situate nel Comune di Trento, di proprietà di alcuni enti (tra cui la società ricorrente) facenti parte di un medesimo Consorzio.
Nello specifico, il procedimento penale nell’ambito del quale veniva disposto il sequestro probatorio nasceva da una indagine svolta dalla Procura di Trento in ordine al reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis comma 1 c.p., contestato agli Amministratori e Legali Rappresentanti delle sopra menzionate società consorziate in relazione a contaminazioni dovute all’attività industriale svolta sul sito. Parallelamente, nell’ambito del suddetto procedimento, veniva altresì contestato alle società, tra cui la ricorrente, l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, comma 2, lett. c) D.lgs. 231/2001, in ordine al reato presupposto di cui all’art. 257 comma 1 D.lgs. 152/2006.
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente eccepiva la violazione di legge con riferimento agli artt. 242, 245 e 257, comma 1, D.lgs. 152/2006, sostenendo che la Società non potesse ritenersi in alcun modo responsabile dell’inquinamento (dal momento che le contaminazioni erano risalenti nel tempo ed erano dovute ad attività industriali svolte dai precedenti gestori) e che, pertanto, non sussistesse a suo carico alcun indizio in ordine alla commissione del reato presupposto alla medesima contestato, con conseguente impossibilità di applicare la misura ablativa censurata.
Ebbene, la Suprema Corte, ritenuta l’infondatezza dei motivi di gravame, ha rigettato il ricorso, affermando il principio di diritto sopra richiamato per cui, ai fini del sequestro probatorio, una volta accertata la relazione tra la cosa e il reato e la sua necessità ai fini di prova, non occorre anche la coincidenza tra il titolare del bene da sequestrare e l’autore materiale del reato.
A tal proposito, infatti, gli Ermellini hanno evidenziato come il richiamo operato dalla parte ricorrente al principio secondo cui il reato di mancata comunicazione agli enti preposti - prevista in caso di imminente minaccia di danno ambientale ai sensi degli artt. 242 e 257 del D. lgs. 152/2006 - di cui all’art. 257, primo comma, del medesimo D.lgs. n. 152 del 2006, è ascrivibile solamente al responsabile dell’evento potenzialmente inquinante e non anche a colui che, essendo (solo) proprietario del terreno, non lo abbia cagionato, non sia pertinente rispetto al sequestro probatorio oggetto della richiesta di riesame disattesa con l’ordinanza impugnata.
In particolare, la Corte di Cassazione ha preliminarmente richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di sequestro probatorio secondo cui “l’oggetto e le finalità del sequestro limitano l’analisi del fumus in quanto la valutazione della legittimità del sequestro non deve essere effettuata nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, quanto, piuttosto, con riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della res o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’autorità giudiziaria”. Ne consegue, precisano gli Ermellini, che il sequestro a fini di prova delle cose necessarie per l’accertamento dei reati può essere disposto anche nei confronti di terzi estranei alla commissione del reato, che sono comunque tenuti a soggiacere a tale misura ablatoria, la cui disposizione prescinde dall’esistenza di indizi di responsabilità nei confronti del proprietario della cosa da sottoporre a sequestro; di talché, questi non può opporsi alla apposizione del vincolo sui suoi beni, sia pure per il tempo e nella misura strettamente necessari all’accertamento dei fatti, quando la loro apprensione sia funzionale ad esigenze probatorie.
La pronuncia in commento, nel ribadire che la misura possa essere disposta anche nei confronti di soggetti formalmente estranei al reato in ossequio al principio di strumentalità della prova, consolida un orientamento, già più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, che attribuisce al sequestro probatorio una funzione essenziale per l’accertamento dei fatti, svincolata, per l’appunto, dalla diretta responsabilità penale del proprietario del bene.
Questa impostazione, invero, appare particolarmente rilevante in materia ambientale, ove il bene oggetto di sequestro è spesso essenziale per verificare l’effettiva portata del danno e per pianificare e attuare eventuali interventi di ripristino o messa in sicurezza dell’area. Tuttavia, il riconoscimento della legittimità del sequestro anche nei confronti dei titolari dei beni non responsabili delle violazioni solleva non pochi interrogativi – a cui dovrebbero conseguire altrettante riflessioni – in ordine all’esigenza di garantire maggiori tutele per i proprietari che, pur estranei alla commissione del reato, si trovino comunque gravati da misure spesso particolarmente stringenti e afflittive, in un contesto normativo (ragionevolmente) orientato sempre più alla salvaguardia dell’ambiente.
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*Avv. Fabrizio Ventimiglia, Presidente Centro Studi Borgogna, Founder Studio legale Ventimiglia e Dott.ssa Chiara Caputo, dello Studio Legale Ventimiglia