Lavoro

Sicurezza sui luoghi di lavoro, contestazione non univoca alla posizione di garanzia in capo al datore di lavoro

La titolarità di una posizione di garanzia non comporta un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, il principio di colpevolezza impone la verifica sia della sussistenza della violazione di una regola cautelare, sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (Corte di Cassazione, Sez. IV Pen., Sent. 1 febbraio 2022, n. 3541)

di Cipriano Ficedolo*

La Corte di appello di Torino, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, riduceva la pena nei confronti dell'amministratore di una ditta di autotrasporti imputato del reato di cui all'art. 589, comma 2, del codice penale perché, nella veste di titolare di posizione di garanzia di fatto, amministratore della predetta ditta, aveva cagionato la morte di un meccanico in pensione, per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, segnatamente l'articolo 2087 c.c. e il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 71 per aver omesso di mettere a disposizione attrezzature idonee e adeguate al lavoro da svolgere ovvero, prelevare dei particolari meccanici da alcuni veicoli destinati alla rottamazione custoditi in un deposito presso il piazzale di pertinenza della propria ditta.

Difatti, la persona deceduta, dopo aver installato sotto la parte esterna del mozzo della ruota posteriore sinistra di un autotreno ivi parcheggiato un sollevatore idraulico e successivamente un supporto di sicurezza al fine di mantenere il mezzo sollevato da terra, era rimasto schiacciato dall'assale posteriore sinistro del veicolo perché il punto di appoggio dello stelo del sollevatore idraulico si era sbilanciato mentre lo stesso era posizionato sotto la scocca, così da cagionargli la morte.

L'imputato, per il tramite del proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata con due motivi; il primo avente ad oggetto la errata valutazione della prova, rigettato dalla corte, mentre il secondo, meritevole di accoglimento, criticava la motivazione della sentenza per avere desunto la posizione di garanzia dell'imputato da più fonti normative, senza che i giudici fornissero una motivazione logico/giuridica di quale norma in concreto fosse stata violata.

Secondo la Corte territoriale soggetto beneficiario della tutela antinfortunistica è non solo il dipendente ma, anche il terzo estraneo all'organizzazione del lavoro, come nel caso di specie.

Ha, quindi, sottolineato l'irrilevanza della circostanza che l'imputato non fosse datore di lavoro né committente, attribuendogli l'esercizio dei tipici poteri previsti dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 299 per avere autorizzato il meccanico a entrare nell'area di sua proprietà e ad operarvi con strumenti inadeguati.

Inoltre, ha richiamato anche l'articolo 2051 c.c. per affermare la responsabilità del proprietario dell'immobile locato, ritenendo irrilevante che l'area in cui era parcheggiato il mezzo fosse regolata da contratto di deposito senza custodia curato da un soggetto terzo in quanto l'imputato, in qualità di proprietario dell'area e di titolare per legge di un potere di controllo finalizzato alla verifica dello stato di conservazione e di sicurezza del medesimo luogo, rivestiva una specifica posizione di garanzia in relazione alla sicurezza degli impianti, dei beni e delle attrezzature ivi presenti, anche per tutti coloro che vi si trovavano ad operare.

Da ultimo, la ditta dell'imputato svolgeva anche attività di officina di autoriparazioni meccaniche, di carrozziere, elettrauto, gommista autovetture e veicoli industriali, all'interno vi si svolgeva attività di piccola riparazione ed erano presenti attrezzi vecchi di lavoro.

Di conseguenza, l'imputato avrebbe dovuto mettere a disposizione attrezzature di lavoro conformi alle caratteristiche specifiche dell'attività svolta, anche occasionalmente, all'interno della medesima struttura con l'obbligo di vigilare sulla corretta utilizzazione di tali strumenti di lavoro.

La prima questione affrontata dagli ermellini è quella di stabilire quale sia la regola cautelare alla cui violazione sia ascrivibile l'omicidio colposo addebitato all'imputato.

A questo punto giudici di legittimità si pongono due interrogativi di non poco conto per cercare di dirimere la questione:
• quale sia la fonte della posizione di garanzia e se la condotta ascrivibile all'imputato sia commissiva ovvero omissiva;
• se il delitto possa ritenersi aggravato dalla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni, posto che nel capo d'imputazione all'imputato è attribuita una posizione di "garanzia di fatto" quale amministratore dell'impresa con violazione dell'articolo 2087 c.p. e Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71.

Nella sentenza impugnata i giudici hanno fondato la posizione di garanzia sull'articolo 2087 c.c. in quanto l'imputato quale legale rappresentante della ditta aveva l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro ed, al contempo, sul Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 299, poiché, al momento della verificazione dell'infortunio esercitava, nei confronti del de cuis, i tipici poteri previsti dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 299 avendolo autorizzato a entrare nell'area di sua proprietà e ad operarvi con strumenti inadeguati senza vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza previste dalla legge, nonché sull'articolo 2051 c.c. in quanto l'area in cui si verificava l'infortunio era di proprietà dell'imputato, per legge, di un potere di controllo finalizzato anche alla verifica dello stato di conservazione e di sicurezza del medesimo luogo.

Ed infine sul Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71 nella sua veste di titolare di impresa esercente anche attività di officina autoriparazioni meccaniche e motoristiche.

Secondo la Cassazione la pluralità di fonti della posizione di garanzia elencate dal giudice di merito non consente di comprendere in base a quale percorso logico/giuridico sia stata individuata la regola cautelare violata dall'imputato, non essendo possibile, in concreto, verificare la correttezza del ragionamento seguito.

Difatti, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta , in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la r egola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015, [Omissis], Rv. 262033; conforme Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, [Omissis], Rv. 264128 ).

Con la oramai nota sentenza Thyssenkrupp (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, [Omissis], Rv. 261106 ) dal concetto di rischio la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha desunto altri due concetti:
il concetto di garante come gestore del rischio: l'obbligo di proteggere il lavoratore dai rischi spetta a colui che riveste una determinata qualifica, che ha un determinato ruolo, che deve garantire l'integrità del lavoratore dai rischi che corre nello svolgimento delle sue mansioni;
il concetto di area di rischio: garante è colui che ha il potere di gestire un determinato rischio e, d'altro canto, risponde a condizione che l'infortunio possa ricondursi all'area del rischio che quel soggetto ha il potere di gestire.

Ed infine, sempre secondo i giudici di legittimità, per qualificare il fatto come aggravato dalle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, è necessario che l'infortunio attenga al c.d. rischio lavorativo, dovendo il giudice di merito spiegare, senza ambivalenze argomentative, per quale ragione si sia pervenuti a tale qualificazione, mentre la Corte territoriale sembrerebbe collegare tale rischio all'autorizzazione concessa dall'imputato alla vittima a entrare nell'area di sua proprietà e a operarvi con strumenti inadeguati.

Invece, la Suprema Corte ha asserito che, una volta che con le proprie condotte il datore di lavoro abbia determinato l'insorgenza di una fonte di pericolo, la posizione di garanzia si mantiene per i danni non solo che possono essere provocati ai propri dipendenti, ma anche ai terzi che frequentano le strutture aziendali.

Alla luce dei principi di diritto suesposti, la Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata peccasse di manifesta illogicità per le seguenti motivazioni:
• per un verso, conferma che all'imputato dovesse essere attribuita la qualità di "datore di lavoro di fatto" in relazione all'obbligo di garantire la sicurezza dell'area in cui si è svolto l'infortunio;
• dopodiché, collega l'esercizio dei tipici poteri di fatto previsti dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 299, all'autorizzazione concessa alla vittima a entrare nell'area di sua proprietà e a operarvi con strumenti inadeguati;
• quindi, richiama l'articolo 2051 c.c., fondando la posizione di garanzia dell'imputato su norma del tutto estranea alla materia antinfortunistica, affermando che egli aveva l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo di cui è proprietario;
• da ultimo, gli addebita la violazione della specifica norma cautelare violata nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71 che non attiene alla conformazione del luogo di lavoro ma all'utilizzo di attrezzatura inidonea.

In definitiva, secondo i giudici della Suprema Corte la motivazione della sentenza di merito non consente di verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito dai giudici di prime cure, con la conseguenza che la sentenza deve essere annullata con rinvio.

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*A cura dell'avv. Cipriano Ficedolo , Partner 24ORE Avvocati

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