Lavoro

Smart working, che cosa ne rimarrà

Il ricorso massivo a questa modalità di lavoro negli ultimi difficili mesi ha evidenziato le criticità e gli impatti socio economici di una evoluzione in tal senso del mondo del lavoro.

di Maria Luisa De Cia*


Lo smart working come alternativa alla organizzazione del lavoro del domani. Ma sarà vero? Apprezzato dai lavoratori, visto con sospetto dai datori di lavoro, inviso dai commercianti.

Quale ne sarà il futuro?

L'emergenza epidemiologica ha prepotentemente portato alla ribalta il fenomeno del lavoro agile che, prima, rimaneva una prerogativa delle aziende con una vision più progressista volta ad una organizzazione più smart, più agile appunto, della prestazione lavorativa. Il ricorso massivo a questa modalità di lavoro negli ultimi difficili mesi, ha evidenziato le criticità e gli impatti socio economici di una evoluzione in tal senso del mondo del lavoro.

I benefici derivanti dalla conciliazione dei tempi di vita e lavoro, mission dello smart working, sono stati applauditi dalla platea dei lavoratori che oltre ad una condivisione più ampia della vita familiare hanno di fatto ridotto notevolmente le spese connesse alla normale prestazione lavorativa. Niente più abbonamenti, parcheggi, carburanti, pranzi, insomma tutte quelle spese tipiche di chi si reca giornalmente in azienda. Ma non solo, il lavoro agile è anche soprassedere al look.

Tutto ciò ha effetti a cascata sulla economia "di contorno". La ristorazione, in particolare, ne soffre. Ne soffre perché deve contingentare gli spazi ma soprattutto perché tutti quei lavoratori che vi consumavano la loro pausa pranzo, sono spariti. Tutto il "commercio" ha subito una battuta d'arresto che inevitabilmente si ripercuote e ripercuoterà sulle attività industriali. Meno vendite, meno produzione. Tutte le attività commerciali, inoltre, stanno subendo pure la dura prova delle vendite on line che, in periodo emergenziale, hanno realizzato picchi di fatturato.

Dal punto di vista datoriale, invece, le valutazione sullo smart working non sono uniformi.

Se da un lato si applaude alla redditività dei lavoratori che spesso rendono la loro prestazione anche oltre al normale orario di lavoro e con la medesima efficienza di sempre, dall'altro la difficoltà a smantellare la consolidata abitudine alla presenza fisica sul lavoro fa emergere i timori datoriali sulla inefficienza delle proprie risorse umane. Certo è che spesso la mancanza di confronto che per lo più avviene de visu, la cooperazione e collaborazione che la condivisione degli spazi agevola, lo sviluppo di sinergie che è certamente agevolato dal linguaggio anche corporeo, può determinare se non un rallentamento delle attività lavorative, sicuramente un trampolino di lancio verso l'individualità e l'isolamento.
Non era e non è questo lo spirito dello smart working così come delineato dai nostri legislatori pre emergenza. Il D. Lgs. 81/2017 infatti mette l'accento sulla "alternanza" della prestazione lavorativa in azienda e al di fuori. Ed è proprio sulla alternanza che si gioca il futuro del lavoro agile.

L'epidemia che ci ha travolto e confinati ai nostri domicili, ha impedito "l'alternanza" e i timori di una recrudescenza della stessa porta a favorire ancora oggi il ricorso allo smart working full time. Ma non sarà per sempre. Ed è proprio nell'ottica di una normale ripresa della vita sociale che il mondo del lavoro dovrà rielaborare il concetto di organizzazione del lavoro.

Ma lo smart working non ha implicazioni solo socio economiche e nel mondo del lavoro, lo smart working è e sarà anche uno strumento volto a raggiungere gli obiettivi previsti dalla Comunità Europea in tema di politiche ambientali. In tal senso il legislatore di casa ha già recepito, seppur nel periodo emergenziale, gli evidenti benefici dello smart working in termini di riduzione di CO2 e della mobilità, e, nell'ambito del Decreto Rilancio, ha investito sulla figura del mobility manager introducendo l'obbligo di adozione, entro la fine di ciascun anno, di piani di mobilità sostenibile per imprese e pubbliche amministrazioni con più di 100 dipendenti ubicate in zone con oltre 50.000 abitanti. E' evidente che lo smart working sarà sempre più uno strumento che le imprese dovranno inserire nei propri piani di lavoro ridefinendo sia il concetto di organizzazione che di struttura delle attività.

Ad oggi, e fino al termine dello stato di emergenza epidemiologica, l'accesso allo smart working è agevolato, non prevede cioè l'accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore che deve essere formalizzato e depositato al Ministero del Lavoro. Questo consente, tra l'altro, di superare l'obbligo di alternanza che deve per contro emergere nell'accordo individuale e che ne costituisce elemento essenziale.

E se prima o poi lo stato di emergenza finirà, è ben che le imprese si strutturino già fin da ora per far fronte sia alle mutate esigenze dei lavoratori che hanno potuto apprezzare un diverso approccio alla quotidianità sia alle esigenze socio economiche e ambientali di crescita del Paese.

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*Consultant di LS Lexjus Sinacta - Esperta in diritto del lavoro

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